
Il piano era pronto da tempo, dall’autunno scorso. E aveva subito un’accelerazione notevole proprio durante la campagna elettorale delle regionali. Gianfranco Fini era pronto ad aprire prima la crisi dentro il PdL, poi trovare una sponda nell’area centrista e infine fare saltare il banco, smontando i due principali partiti del bipolarismo: Pd e PdL. Ma la leva principale per realizzare tutto doveva venire da quella che per lui era una certezza: la sconfitta di Renata Polverini alle elezioni regionali del Lazio e il probabile deludente risultato complessivo.
Lo raccontano a Libero alcuni dei suoi fedelissimi con cui ieri abbiamo ricostruito tappa per tappa strategie passate e future del presidente della Camera. «Ebbe colloqui con Pier Ferdinando Casini e con Francesco Rutelli», ammettono alcuni di loro, «e in ogni caso aveva intenzione di aprire la crisi sulla gestione del PdL partendo proprio dal caos della mancata presentazione delle liste a Roma». Il risultato è stato una doccia fredda sul progetto, ma il piano di battaglia non è cambiato. È esploso in un altro modo il contrasto con la Lega che covava sottoterra da mesi. Lo capirono tutti perfino nell’ufficio di presidenza della Camera, il giorno in cui si dovette comminare le pene per una baruffa in aula fra Fabio Evangelisti (Italia dei valori) e due deputati leghisti, Fabio Rainieri e Gianluca Buonanno.
POCHE SETTIMANE FA
Il collegio dei questori, organo collegiale in cui c’è anche un rappresentante ex An propose 15 giorni di sospensione per il primo, 6 per il secondo e 5 per il terzo. Fini rivendicò i suoi poteri per ribaltare la sentenza (caso rarissimo). 12 giorni al primo, 10 al secondo e 8 al terzo. Poi solo davanti alla sollevazione generale, accettò la pena proposta per il terzo che aveva responsabilità minori. Fatto piccolo, ma significativo: era 1’11 febbraio scorso. «Io fino alle Regionali avevo compreso le sue ragioni», sostiene Amedeo Laboccetta, figura storica del Msi, per lunghi anni consigliere e amico personale di Fini, pronto a sostenerlo anche nel confronto con Silvio Berlusconi (ha firmato anche il primo documento di solidarietà al presidente della Camera, quello dei52finiani). «Ma il giorno dopo le elezioni l’ho visto e gli ho detto che bisognava prendere atto della realtà. I fatti non erano quelli che ci si immaginava, e un leader sa cambiare atteggiamento. Vero che uno dei nostri, Italo Bocchino, si era spinto troppo avanti. Ma che Berlusconi avesse vinto le elezioni e che a Roma questo fosse avvenuto proprio grazie a lui, era un dato di fatto che non si poteva negare. Gli dissi quel giorno che bisognava prendere atto della attualità, che quei dati dicevano che il progetto di una rapida scomposizione del sistema politico, tutto pronto a dissolversi, l’area di Casini e Rutelli in movimento, altri contatti con esponenti del PdL e dell’opposizione non avrebbero portato a nulla». Fini rispose - è sempre la versione di Laboccetta - che il progetto era troppo avanti: Bocchino aveva fatto partire Generazione Italia, già organizzato un appuntamento a Perugia per l’8 maggio, già partiti gli inviti, già arrivate le prime adesioni. «Gli dissi: Gianfranco, fermati! Hai ragione su molte cose, ma se la realtà è diversa... Italo Bocchino sostenne il contrario: avanti, è il momento di spaccare tutto. Parlava da guerrigliero, e credo che sia proprio questo che avesse in mente e che vedremo in scena nei prossimi mesi: la guerriglia». Ma Fini pensa ancora a Casini e Rutelli? Accarezza l’idea di una scomposizione e ricomposizione di Pd e PdL? Secondo Laboccetta «è tentato. Ma non lo consentiranno gli altri. Gianfranco però è ormai in mano a guerriglieri come Bocchino, e mi sembra preso dal cupio dissolvi. Cosa farà? La guerriglia, poi la componente finiana, la correntina e inevitabilmente la scissione. I numeri non ci sono e il rischio è di rivedere un film che io ho già vissuto: quello di Democrazia nazionale, un’avventuretta che Bocchino manco conosce perché era bambino. Io e Gianfranco che restammo con Giorgio Almirante sì».
GLI ALTRI ALLEATI
Roberto Menia pensa cose simili (e meno riferibili) sul capo della guerriglia, Bocchino. Enzo Raisi è certo invece che fuori dal PdL il gruppo non finirà: «primo perché questo Fini mi ha promesso. Secondo perché se questo volesse, io non lo seguo». Anche un’altra del gruppo come la piemontese Maria Grazia Siliquini è certa della guerriglia, ma altrettanto che il terreno su cui si combatterà resterà interno al PdL: «Fini pensa a cosa sarà il partito fra qualche anno. I veri numeri delle Regionali dicono già che stiamo scomparendo. Da noi il candidato exAn che ha raccolto il maggiore numero di voti ne ha presi 8 mila, una miseria. La prossima volta saranno la metà. O si dà lo scossone adesso o sono guai per tutti».
Ma torniamo a Laboccetta, che ha vissuto le ore decisive con Fini fino a lunedì scorso. «Errori ce ne sono stati dappertutto. Vero che Fini troppo spesso è stato umiliato da Berlusconi. Vero che la responsabilità di quella brutta pagina della direzione nazionale è stata vicendevole. Io fino all’ultimo ho sperato che si potesse ancora - chissà, con una stretta di mano - riprovare. Ma non è così. Gianfranco è partito da una considerazione certa: lui non sarebbe stato il successore di Berlusconi nel PdL. Lega o non Lega, ormai erano più forti altre ipotesi: Giulio Tremonti o altri. Non lui. Io fino all’ultimo gli ho detto: aspetta, prendi tempo. Un leader sa farlo. Ci siamo sentiti il 25 aprile, quando gli ho detto di imporre a Bocchino vere dimissioni e la fine della sceneggiata. Lui ha capito che non ci stavo, mi ha chiesto di venire il lunedì un’ora prima della riunione del gruppo dei finiani. Gli ho spiegato che non l’avrei seguito sulla strada della guerriglia. Allora mi ha chiesto il favore di non partecipare alla riunione successiva del gruppo, per non turbare gli altri. Non ho capito, ma non ci sono andato. Gianfranco è stato molto secco, ci sono rimasto pure male per i toni. Ma mi è sembrato preso dal cupio dissolvi: a questo punto vuole solo trovare le leve per fare saltare il sistema e farla pagare a Berlusconi. Si è affidato a quel ragazzino che ora sta diventando per tutti un soggetto politicamente pericoloso e gode nel tenere in eccitazione permanente il primo partito politico italiano
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