
Ci sono stati momenti, nella storia recente, in cui i leader europei hanno dimostrato lungimiranza e coraggio. Negli Anni ‘50, quando Adenauer, De Gasperi e Schuman crearono la Comunità del carbone e dell’acciaio, la prima istituzione comune europea. E di nuovo negli Anni ‘90, quando Kohl, Andreotti e Mitterrand a Maastricht crearono l’unione monetaria. Furono, è vero, decisioni frutto della storia.
Negli Anni ‘50 eravamo ancora traumatizzati dalla guerra: creare istituzioni comuni era un modo per impedire che un simile disastro si ripetesse. Quarant’anni dopo l’unione monetaria ci aiutò ad accettare la riunificazione tedesca e il ritorno di una Grande Germania. Ma quei leader seppero cogliere il momento favorevole: senza la loro lungimiranza l’Europa sarebbe ancora un’entità solo geografica.
La crisi economica che stiamo attraversando, e che in Europa è accentuata dai guai della Grecia, offre un’occasione simile. L’idea tedesca di affiancare all’euro un Fondo monetario europeo ha aspetti poco convincenti. Ad esempio non è chiaro che cosa un simile Fondo potrebbe fare che già non possa fare il Fondo monetario internazionale. Se il problema è solo di forma - perché l’Fmi ha sede a Washington - basterebbe unificare la rappresentanza europea e usare l’articolo dello statuto che prevede che la sede dell’Fmi sia nel Paese che ha la maggioranza dei voti, che a quel punto sarebbe l’Ue, non più gli Usa.
Ma evidentemente non è questo il punto. La domanda è se la signora Merkel, Sarkozy e Berlusconi sapranno sfruttare questa occasione per far compiere un balzo in avanti al progetto europeo. L’idea del
Fondo può essere la scusa per cominciare a riflettere. Occorre chiedersi se l’unione monetaria, per sopravvivere, debba dotarsi di istituzioni che consentano una gestione coordinata delle politiche economiche. Se la risposta fosse positiva, questo è il momento per farlo.
Certo, occorre un po’ di coraggio. Innanzitutto non farsi spaventare dal presidente della Bundesbank.
Axel Weber è contrario al Fondo perché pensa che dotarsi di strumenti per affrontare crisi come quella greca avrebbe l’effetto di rendere le crisi più frequenti. E un’evidente sciocchezza: come dire che sarebbe meglio se non ci fossero i vigili del fuoco perché la loro presenza fa sì che siamo meno attenti al fuoco, e che quindi vi siano più incendi. Né bisogna dare ascolto a chi sostiene che in Europa qualunque nuova istituzione richiede un nuovo trattato. Se così fosse, passi avanti non se ne potranno più fare perché non c’è speranza che un nuovo trattato venga ratificato da 27 Paesi.
Da tempo i trattati europei consentono a gruppi di Stati di instaurare tra loro «cooperazioni rafforzate», cioè accordi che non si estendono a tutti i 27 Paesi (un esempio sono gli accordi di Schengen sulle frontiere). Il Trattato di Nizza ha reso questa possibilità ancor più semplice eliminando (con l’eccezione della politica estera) il diritto di veto dei Paesi che decidono di non partecipare e cancellando il vincolo che i nuovi accordi debbano essere approvati da una maggioranza dei 27 Paesi.
L’unione monetaria è già una cooperazione rafforzata. Si può estenderla. Ma servono visione e coraggio. Altrimenti meglio delegare a Washington la soluzione della crisi greca.
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