
Mi torna alla mente Manzoni, ovvero il passaggio dei Promessi sposi in cui si accenna al cedimento di Gertrude alle lusinghe sacrileghe di Egidio: «La sventurata rispose». Disse di sì, aggiungendo anche questo gesto a una vita di sventure.
È forse un monito, per me o per altri, di fronte alla domanda insidiosa e ripetuta sulla possibile partecipazione alle primarie? Ecco, consapevole di questo preferisco non rispondere: non c’è seduzione né cedimento, bensì quel tanto di vigilanza che serve ad impedire la banalizzazione dei problemi e i tentativi, magari involontari, di liquidare gli argomenti delle minoranze.
Troppi nodi sono giunti al pettine, se non proviamo finalmente a scioglierli e se ognuno di noi non partecipa a farlo bene, i rischi tenderanno a superare le aspirazioni o gli interessi dei singoli per investire il Partito democratico nel suo complesso. A quel punto, gli sventurati saremmo tutti noi. Non c’è dubbio che in questa fase delicata e convulsa il comportamento del Partito democratico conserva una lucidità e una compostezza sconosciute alle forze della vecchia maggioranza di governo.
Ciò non toglie che l’anima del riformismo dovrebbe incarnarsi in una proposta ogni giorno più forte e penetrante. È giunto il momento che contenuti ed alleanze interagiscano all’interno di un’unica strategia politica. Molti elettori restano in attesa di conoscere il disegno che il centrosinistra intende realizzare. Se hanno trovato giusto astenersi nelle elezioni amministrative, in futuro torneranno a far sentire la loro voce. Grosso modo, stando anche ai sondaggi, l’area dei delusi oscilla tra il venti e il venticinque per cento dei consensi (il resto è assenteismo strutturale). Finito il sogno berlusconiano, sono alla ricerca di un nuovo approdo politico.
Dove vogliamo che vada il nostro partito? Qual è l’obiettivo dei Democratici? Spesso sembra di cogliere la vocazione a chiudersi nel recinto della sinistra tradizionale. Cercando un punto di contatto con le posizioni più radicali si smarrisce la strada del dialogo con l’area intermedia dell’elettorato, genericamente definita con il termine di moderato. Invece è in questo dialogo – si potrebbe dire tra centro e sinistra – che matura la possibilità di dare all’Italia un futuro diverso. Certo, se tutto si riduce a incastri di reciproche convenienze non produce grande effetto.
Solo lo slancio, la passione, l’intelligenza possono riqualificare un progetto di ricomposizione delle culture popolari e riformatrici. L’errore più grave sarebbe quello di mantenere intatto il muro invisibile che ha diviso negli ultimi vent’anni l’Italia del civismo e dell’operosità, della buona tradizione e dell’ansia di progresso, della solidarietà e dell’innovazione. È l’errore che non deve compiere il Partito democratico. Alle primarie dovremmo discutere di questo per unire di più, non per dividerci. Quando, ad esempio, si tirano in ballo i matrimoni gay s’indebolisce la preziosa funzione di sintesi che appartiene naturalmente al mondo dei riformisti.
Sotto questo profilo, il documento elaborato dalla commissione sui diritti civili rappresenta una base ragionevole di confronto e d’intesa...Cautela ci vuole poi sulle questioni controverse. Il pluralismo va rispettato sempre, sia quando torna utile che quando suscita inevitabili conflitti. Lo stile e la misura servono pertanto a generare la sensazione o meglio la certezza del rispetto reciproco. Invece alzando i toni, si rompe il congegno delicato che agisce a supporto della possibile composizione dei differenti punti di vista. Chi ha più responsabilità dovrebbe essere consapevole dei guasti che una comunicazione improvvisa e lacerante può determinare nella vita del partito.
Il principio cardine è e deve restare la tutela della libertà di coscienza. Oggi, del resto, la difesa della famiglia dovrebbe rappresentare un impegno di tutta intera una classe dirigente nazionale. Il paese paga infatti un alto costo, spirituale e materiale, a causa del mancato sostegno al l’istituto familiare. Non si mettono a repentaglio in questo modo, né tanto meno si negano i diritti delle persone che vivono nello stato di una unione di fatto. Penso piuttosto che in Italia sia quanto mai urgente operare, come hanno fatto altri paesi in Europa, affinché la comunità originaria rappresentata nell’ordinamento costituzionale dalla famiglia riceva quelle attenzioni e quelle tutele finora ripetutamente accennate e mai concretamente realizzate.
Dobbiamo fare nuove cose. In campagna elettorale ho incontrato molta gente. La crisi non è alle nostre spalle, se solo guardiamo alle crescenti difficoltà dei giovani in cerca di lavoro. Ai sacrifici bisogna affiancare una speranza concreta, facendo in modo che rinasca la fiducia verso le istituzioni e verso la politica. Questo è il lavoro che più mi appassiona e che vorrei fosse al centro delle nostre primarie. Nel caso, mi sentirei a mio agio. E penso che sarebbe la risposta giusta – non come quella, “sventurata”, della Monaca di Monza – alle richieste di maggiore ascolto ai bisogni dei più deboli.
Quando ho scelto di stare nel centrosinistra mi sono trovato a vivere con entusiasmo l’esperienza di una battaglia coinvolgente e partecipata, alla luce del sole. È lo spirito che dobbiamo recuperare. Solo così riusciremo a costruire il riformismo su basi più ampie e più solide, riplasmando il consenso popolare attorno a una proposta di larga convergenza democratica. Ognuno di noi deve essere pronto, superando una volta per tutte le barriere tra laici e cattolici, a fare nuove cose. Ecco, nell’ottica di questo impegno mi posso sentire candidato.
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