
Dice il proverbio: «Il diavolo si annida nei dettagli». E sono questi che il Pd vuole valutare prima di dare un giudizio sulla riforma-Fornero. Perciò Bersani (che oggi o domani pensa di incontrare Monti) frena: «Non è serio commentare le indiscrezioni. Tuttavia su alcune cose siamo d'accordo e su altre no». Stamani, ora di pranzo, è stato convocato un vertice nella sede del Pd con i deputati e i senatori delle commissioni Lavoro e Stefano Fassina, il responsabile Economia del partito. Poi a Montecitorio, riunione allargata ai capigruppo delle commissioni Bilancio.
Il segretario dei Democratici insiste su una condizione imprescindibile per qualsiasi via libera: rispettare il criterio di equità. Ci sono rospi che il Pd è pronto ad ingoiare (il contributivo pro rata, alcune accelerazioni), ma non tutto. Bersani getta la palla nel campo del centrodestra sproposito di quel "no" perentorio di Berlusconi alla patrimoniale: «Sento affermazioni che vogliono condizionare il governo: si scherza col fuoco, è evidente che se sono misure che chiamano a uno sforzo collettivo, i patrimoni rilevanti a cominciare da quelli immobiliari non possono essere esentati». Immediata controffensiva degli alleati-coltelli del Pdl: «Adesso Bersani si mette pure a fare il pompiere? Invece di usare toni esagerati e argomentazioni prive di fondamento il Pd non affondi nel pantano delle pensioni» risponde Maurizio Lupi.
Tutti i partiti della coalizione che sostiene il governo tecnico sono in fibrillazione. Ma nel Pd la partita è ancora più difficile. Bersani non nasconde la preoccupazione: sulla pagina Facebook del segretario gli elettori e i militanti chiedono di non retrocedere e il leit motiv è: «Giù le mani dalle pensioni» . La "gauche" del partito (che annovera anche Fassina e Damiano) metterà oggi sul tavolo una dead line: «No all'aumento da 40 a 43 anni di contributi, le pensioni di anzianità non si toccano». I 40 anni contributivi sono considerati dalla segretaria della Cgil Susanna Camusso un «numero magico». E una parte del Pd non vuole rompere con la Cgil. Bocciato anche il blocco dell'adeguamento delle pensioni al costo della vita. L'ala riformista è di tutt'altro avviso. Francesco Boccia, lettiano, ribadisce: «Non ha senso porre veti preventivi, Monti ha ben chiara la missione da compiere e la redistribuzione necessaria. E ipocrita non dire che i ventenni, i trentenni e i quarantenni di oggi andranno in pensione a 70 anni». Ancora più insofferenti i veltroniani. «Ci sono evidentemente fasce deboli da proteggere, però sono cose non più rinviabili», ragiona Giorgio Tonini. C'è quindi un asse Enrico Letta- Veltroni? «Loro sono stati le due avanguardie riformiste, ma le carte si sono molto rimescolate nel Pd e il "partito Monti" è cresciuto».
Bersani punta alla «sintesi», parola che gli piace molto, come quell'altra «compromesso», a patto che sia «una cosa nobile, cioè promettere assieme ma a partire da punti fermi». Sa altresì bene che i margini di trattativa con il governo sono limitatissimi. Il Pd chiederà tra l'altro che i risparmi siano investiti per favorire l'occupazione dei giovani e delle donne. Una proposta di legge (Enrico Morando - Pietro Ichino - Emma Bonino) chiede agevolazioni fiscali per il lavoro femminile: c'è da finanziarla. A chiedere minore rigidità al partito è Matteo Colaninno. Giovanni Legnini, senatore della commissione Bilancio, insiste sull'importanza della concertazione con le parti sociali (che Fornero vedrà sabato), e perché si intervenga su tutti i privilegi pensionistici.
A gettare acqua sul fuoco delle polemiche è Casini, che eviterebbe anche gli incontri segretari premier: «Non servono incontri. Aspettiamo il governo in Parlamento dove ci assumeremo la responsabilità di dire sì alle misure. Bisogna dare un fiero sostegno a Monti, c'è da salvare il paese». Si tira fuori Di Pietro: «No ai tagli indiscriminati, è un'operazione alla Berlusconi-maniera».
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