
20/10/09
Corriere della Sera
Poco si sa della trasferta che Silvio Berlusconi compirà domani a San Pietroburgo, ma l’occasione è egualmente ghiotta per porre quella che è diventata la domanda-chiave della nostra politica estera: sono ben calibrati, i rapporti che l’Italia ha con la Russia? Sgombriamo subito il campo da qualche possibile equivoco. Quando Berlusconi considera la Russia un partner fondamentale dell’Occidente, ha ragione. Quando si adopera per alimentare un buon rapporto con Mosca, fa bene. Quando favorisce accordi economico-commerciali e intese produttive, fa il suo lavoro.
Ma, e qui sta il problema, una politica estera accorta, esercitata da un Paese non esattamente in ascesa sulla scena mondiale quale è l’Italia, pone questioni cruciali di opportunità e di bilanciamento. Due aspetti che a nostro avviso mancano nelle relazioni tra Roma e Mosca.
Nel suo precedente governo Silvio Berlusconi aveva rapporti personali e privilegiati tanto con Bush quanto con Putin. Ma poi alcune cose sono cambiate. Da quando Parigi e Berlino sono in buona sintonia con Washington la «rendita irachena» di cui fruiva l’Italia nei rapporti transatlantici si è dissolta. Obama ha preso il posto di Bush alla Casa Bianca. E anche Putin ha cambiato casella, pur continuando, dalla poltrona di premier, a tirare le fila del potere russo.
Ha tenuto conto, l’attuale governo Berlusconi, di queste evoluzioni? A noi pare di no, e pare che il presidente del Consiglio farebbe bene a riflettere su una politica estera che sembra ormai eccessivamente russo- centrica. Qualche esempio? Primo, la questione energetica. Nessuno discute la validità del progetto South Stream (cui sta per associarsi anche la Francia), ma altra cosa è appoggiare di fatto Gazprom nello strangolamento del gasdotto alternativo Nabucco voluto dall’Europa e sostenuto dagli Usa. E ciò a dispetto dei problemi che Nabucco sta incontrando nell’individuare i suoi futuribili fornitori. Altra cosa, inoltre, è acquistare dalla Russia gas dell’Asia Centrale (in tal modo Mosca detta legge più facilmente in quell’area), e accrescere la vulnerabilità della già timorosa Europa orientale che si trova aggirata a nord e a sud dai gasdotti concordati dalla Russia con Germania e Italia.
Secondo, la forma. Quando Berlusconi canta vittoria a seguito della decisione Usa di modificare lo scudo anti-balistico tanto inviso ai russi, si può presumere che Putin sorrida e che Obama si irriti. Ben sapendo, entrambi, che Washington e Mosca non hanno bisogno di intermediari. In definitiva invocare all’eccesso lo «spirito di Pratica di Mare» (dove nel 2002 Berlusconi patrocinò l’intesa Russia-Nato), o porsi troppo frequentemente in «avvocato di Putin» (parole dello stesso Berlusconi), non fa piacere a nessuno e danneggia la credibilità italiana.
Terzo, la questione democratica. Avvicinare il più possibile la Russia all’Occidente comporta l’affermazione di una diversità di valori come primo passo per tentare di superarla. Il Parlamento italiano ha approvato una mozione dell’Udc sul caso Khodorkovsky, l’ex magnate del petrolio sottoposto a processi «politicizzati» . È il primo segnale di una posizione italiana più attenta anche a tanti altri casi di crimini insoluti e di diritti violati? Lo speriamo.
Ma intanto dobbiamo constatare che la nostra politica verso la Russia è priva di misura. Anche — ma non soltanto — perché apre un serio contenzioso con gli Stati Uniti.
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