
Nel Pdl che naviga alla cieca verso primarie talmente sovraffollate da apparire quasi grottesche, è sempre più chiaro che la vera discriminante riguarda il sì o il no al governo Monti post-elettorale. Governo fondato su una maggioranza politica, s'intende, ma pur sempre affidato con convinzione all'attuale premier, visto come l'unico leader possibile, in questa fase storica, del centrodestra.
Accettare questa prospettiva o rifiutarla è il vero tema politico che s'intuisce al fondo di un contrasto sulle primarie altrimenti in buona misura incomprensibile. È chiaro che il partito che fu berlusconiano sta vivendo le premesse di una scissione. Magari si potrà evitarla strada facendo, ma le probabilità che invece si consumi sono alte. In un certo senso è già avvenuta, benchè non in modo ufficiale, e proprio sulla questione Monti. Nel Pdl c'è un largo spettro che ormai guarda a Palazzo Chigi per ritrovare un punto di riferimento e un orizzonte, se non proprio una guida.
Certo, il segretario Alfano insiste nel dire che prima "Monti deve candidarsi", in vista di ottenere poi il consenso del centrodestra. Ma è lo scudo di un uomo che deve pur tenere insieme quel che resta del vecchio esercito. Alfano è convinto da tempo (e non è il solo) che l'unico futuro per i reduci moderati del berlusconismo sia nel Partito Popolare europeo: è lì che bisogna rifugiarsi per trovare riparo alla tempesta distruttiva in atto. Chi meglio di Monti può garantire una transizione credibile verso quell'approdo?
S'intende, questo è l'interesse di tutti coloro che guardano al presidente del Consiglio come alla zattera della salvezza. Ma è tutto da verificare se Monti sia interessato a un ruolo di "federatore" che, almeno secondo un certo punto di vista, finisce per sovrapporsi a quello di salvatore di un ceto politico. Resta il fatto che di giorno in giorno aumenta il numero di coloro che vorrebbero il premier nelle vesti di "aggregatore" di un'ampia e ancora parecchio confusa area moderata. Le difficoltà di una simile impresa sono intuibili, ma qui è interessante vedere come si sta organizzando la corrente "montiana" del Pdl. La sua consistenza era già tutt'altro che irrisoria, ma adesso si sta ampliando, in parallelo con una lotta di potere senza quartiere.
Berlusconi, avendo compreso che la sua stagione è finita, si comporta come un novello Saturno e tenta di mangiare i suoi figli. La sua battaglia contro le primarie ieri ha conosciuto un momento di stasi, ma c'è da credere che il sabotaggio continuerà. E questo perché Berlusconi ha compreso benissimo che la legittimazione di un nuovo gruppo dirigente porta in modo inevitabile a fare di Monti il personaggio di riferimento. A tale ipotesi in passato aveva pensato anche lui, Berlusconi, ma oggi è evidente che l'operazione non sarebbe gestita da Arcore. Le primarie, se appena dovessero avere un minimo di successo popolare (il che è tutto da vedere), segnerebbero l'esordio di una nuova leadership e di nuovi scenari.
In ogni caso la linea del fronte è lì: fra chi è pro-Monti (Frattini, la Gelmini, persino alcuni ex An, numerosi parlamentari timorosi di non essere rieletti, in sostanza lo stesso Alfano) e chi è anti-Monti (molti di coloro che si sono candidati alle primarie contro il segretario, Brunetta, una buona porzione di ex An e ovviamente il fondatore Berlusconi). Le primarie sono il campo di battaglia, ma la posta in gioco è la ridefinizione del centrodestra nell'era post-berlusconiana.
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