
Il primato di Milano è un'idea dura a morire. La convinzione che se non si vince nella capitale economica non si può vincere nel paese era un'idea che divideva anche il vecchio Pci. Forse un mito. È un fatto, invece, che oggi l'eventuale vittoria del centrosinistra nella capitale del Nord avrebbe l'effetto di un terremoto per la politica italiana. Espugnare la città che ha visto nascere leghismo e berlusconismo (in questo ordine) sancirebbe il tramonto della leadership del Cavaliere, la sua fine. Se tutto questo è vero non si comprende la strana freddezza con cui il Pd guarda alle prossime amministrative sotto la Madonnina. Un misto di diffidenza e scetticismo che fa a pugni con i sondaggi di quasi tutti gli istituti di ricerca che, per la prima volta da molti anni, dicono che il miracolo a Milano è possibile, che Giuliano Pisapia può farcela.
Naturalmente è giusto essere prudenti sui sondaggi. Una percentuale assai alta di indecisi autorizza qualsiasi previsione. Però anche l'idea del premier di presentarsi capolista alle comunali conferma che i sondaggi che ha in mano lui sono gli stessi che conosciamo tutti, che il candidato del Terzo polo può rubare molti voti al sindaco uscente, che la Lega è un alleato insidioso, che è molto difficile trascinare al ballottaggio un elettorato deluso o indifferente. Quindi si può fare, come direbbe il Gene Wilder di Frankenstein junior. Anche la decisione della Bonino e dei radicali di spendersi in prima persona per Pisapia è una novità da non sottovalutare. Eppure - nonostante i sondaggi - il Pd locale e nazionale sembra non crederci davvero e non fare di tutto per trasformare una battaglia locale nella Waterloo del berlusconismo. Pisapia è un signore e non ha nessuna intenzione di aprire una polemica con l'azionista di maggioranza della coalizione a un mese e mezzo dal voto. Però lo squilibrio delle risorse in campo con la Moratti è evidente e devastante, e forse qualche sforzo in più (di soldi, di mobilitazione, di passaparola, ma soprattutto di soldi) si potrebbe fare.
Le ragioni della freddezza democrat sono tante. Intanto lo smacco della sconfitta alle primarie, forse non del tutto riassorbito. Poi le perplessità su alcune candidature, lo scarso peso nelle liste alle personalità cattoliche e moderate, il profilo sbilanciato a sinistra di un candidato sindaco che qualcuno, sottovoce, critica anche per una campagna elettorale troppo tradizionale. Infine, l'idea che sia meglio rafforzarsi dove si conta che provare a vincere in trasferta. Tutto vero se i sondaggi confermassero che l'impresa è impossibile. E invece non è così. Per il Pd rivincere a Torino e Bologna è quasi un dovere e non sarebbe una notizia. Farcela a Napoli e Cagliari sarebbe una bella sorpresa ma non uno tsunami come la vittoria contro la Moratti. Milano riguarda tutti. Perdere non sarebbe una tragedia, succede da vent'anni. Vincere, invece, segnerebbe una svolta. Non sarebbe la vittoria di Pisapia ma la sconfitta di Berlusconi, la fine di un ciclo politico, l'irrimediabile constatazione che il miracolo berlusconiano è morto anche là dove era nato. In termini di peso specifico la vittoria sotto la Madonnina conta molto di più di mille mobilitazioni di piazza, di convention, girotondi, fiaccolate, raccolte di firme. Speriamo che il Pd se ne accorga.
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