
Il partito Democratico punta sulla candidatura di Emma Bonino per il Lazio. Sono bastate 24 ore a Nicola Zingaretti, incaricato di esplorare le possibilità di una coalizione larga, che comprendesse pure l’Udc, per stilare una nota che suona come un invito a Bersani a prendere una decisione impegnativa: o il Pd fa scendere in campo un leader di caratura nazionale, oppure è meglio sostenere l’esponente radicale. «Ho svolto molti colloqui - spiega Zingaretti - con gli esponenti politici coinvolti nella ricerca di una candidatura del centrosinistra e sostenuta dall’Udc. Purtroppo in base a quanto ho potuto appurare in questo momento, ancora non esistono le condizioni per una candidatura che coinvolga tutte le forze di una coalizione così larga».
E anche se dopo questa uscita si erano diffuse voci di un pressing di Bersani per convincere Enrico Letta a candidarsi, e un tam tam di altre candidature papabili come quella della Bindi, in serata il pallino tornava sempre sullo stesso punto: Bonino for president. «Zingaretti ha detto alla Bonino di non aver riscontrato opposizioni sul suo nome nel partito», rivelava Marco Pannella. Già, perché tutti i soggetti interessati sanno benissimo che Casini ormai ha scelto la Polverini e quindi è inutile cercare candidati per un’alleanza impossibile. «Tra lei e la Bonino, noi stiamo con Renata», tagliava corto il leader Udc in mattinata. E pure l’investitura di un pezzo forte come il vicesegretario o il presidente del partito non riuscirebbe a cambiare le cose, tanto più che con la Bonino in campo qualsiasi candidato rischierebbe di perdere. «Bando alle ciance: sarà una sfida a due Polverini-Bonino», confidava uno dei tre massimi dirigenti del Pd ieri sera. «Casini da tempo ha deciso di stare con la Polverini per mantenere un rapporto con Fini, il quale da settimane gli chiede un appoggio nel Lazio. In un quadro del genere, l’unica cosa che possiamo fare è negoziare una soluzione ragionevole con la Bonino e cioè un accordo che abbia una base programmatica ragionevole e non folle».
Certo l’indicazione di votare Emma, graditissima ai laici del Pd come Concia, Giachetti, Marino e Colombo, ha invece l’effetto di un terremoto tra i cattolici democratici. «Per perdere, la Bonino va benissimo», scherzava Enzo Carra. «Se il Pd la sostiene io esco dal partito», avvertiva la Binetti. «Non possiamo rinunciare ad esprimere una candidatura, meglio Silvia Costa della Bonino», protestava Castagnetti. «Faremo scendere in campo la Bindi, non può finire così con l’Udc», minacciava Fioroni. «Se Casini ci dice no nel Lazio, deve dirci sì in Calabria o in Campania». E se gli ex Ppi sono venuti tutti allo scoperto, silenzio di tomba dai due leader della minoranza, Veltroni e Franceschini, che preferiscono non esprimersi pubblicamente per non dire ciò che pensano.
Bersani oggi parlerà in una conferenza stampa, il puzzle delle candidature è complicato da chiudere e il suo refrain è che per vincere bisogna costruire un’alternativa di governo insieme a tutte le forze di opposizione. Anche se questo significa impiegare 72 ore in più per individuare i candidati giusti. Con una rasoiata all’indirizzo dei suoi predecessori, fatta trapelare dal suo staff: se venissero confermati i risultati delle europee, perderemmo dieci regioni, quindi meglio spendere qualche sforzo in più. D’altronde, l’alleanza con l’Udc è già a buon punto in Piemonte, Liguria, Marche e Basilicata, mentre sono da definire ancora le nominations in Calabria e Campania.
Intanto, mentre la Bonino comincia a porre le sue condizioni al Pd, «bene Zingaretti ma il problema è un dialogo a livello nazionale», la Polverini è già partita nella sua corsa. Sfoderando anche un piglio autonomo nel dire che al momento per lei «non è determinante prendere la tessera del Pdl» e garantendo, di fronte a una platea di sindacalisti della Polizia, di voler proseguire «la battaglia sulla sicurezza dei cittadini messa in atto dal governo che sta dando dei risultati».
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