
Il prossimo governo, spiega Massimo D'Alema, «sarà imperniato sul Pd, che ne è la garanzia, in alleanza con la sinistra di Vendola e con i moderati di Casini. Il problema è andare oltre Monti. Non faremo passi indietro, non smonteremo le riforme di Monti». Parole chiare, dette a uno dei più importanti quotidiani tedeschi. Denotano molta sicurezza e la pacata convinzione che la vittoria elettorale è inevitabile.
Quello che né D'Alema né altri possono sapere è se queste frasi pubblicate nella lingua di Angela Merkel saranno sufficienti a tranquillizzare i nostri partner di Berlino e quanti, a Bruxelles o altrove, nutrono molti dubbi su quello che potrà accadere in Italia dopo il voto. D'Alema, come già Bersani, esclude in modo netto che Monti possa restare a Palazzo Chigi dopo il voto. Si dirà che è una posizione obbligata: il Pd non può certo presentarsi agli elettori propugnando un nuovo esecutivo affidato all'attuale premier.
Tuttavia non è solo tatticismo: ormai l'indirizzo strategico sembra definito e il Pd, sicuro del successo, si ritiene in grado di andare «oltre Monti», come dice D'Alema. Non ci sarebbe più bisogno del professore bocconiano per essere credibili in Europa perché il Pd dispone di «una seria classe dirigente». Allo stato delle cose, tuttavia, questo scenario è tutto da verificare. E per la verità i segnali che finora arrivano dall'Europa parlano a favore di Monti come garante affidabile della stabilità italiana. Le altre opzioni, compresa quella di cui parla D'Alema, aprono scenari diversi.
L'elettore è sovrano, ovviamente. Ma nessuno può essere sicuro oggi che Vendola si accontenterà di essere la costola di sinistra della maggioranza, delegando ai capi del Pd le scelte di fondo. L'altro giorno ha cominciato a mettere i puntini sulle "i" quando ha chiesto il matrimonio per i gay («voglio sposarmi»). Un'affermazione fatta per dividere e marcare un'identità. Cosa accadrà nel nuovo Parlamento, quando i vendoliani saranno numerosi, ma ci saranno anche – fuori dai confini della coalizione – l'Idv e i seguaci di Grillo, tutti bene intenzionati a non farsi fagocitare da un centrosinistra moderato e condizionato da Casini?
Le preoccupazioni europee nascono di qui, come è noto, e non possono essere esorcizzate tanto facilmente. Nel frattempo la strada è costellata d'insidie. In primo luogo, l'eterno stallo sulla legge elettorale costituisce un pessimo segnale. A questo punto il rischio non è tanto quello di andare a votare con il "Porcellum" tale e quale, quanto di arrivarci con un "Porcellum" leggermente rimodellato, ma nella sostanza molto simile al progenitore. Non proprio il modo migliore di presentarsi davanti agli italiani per chiedere loro il voto.
Senza contare che l'eventualità di un "Porcellum due" rende indispensabili le primarie per la scelta dei candidati (lo riconosce lo stesso D'Alema) e al tempo stesso accende i riflettori sulla sfida fra Bersani e Renzi. Questo è un tema che piace poco ai dirigenti del Pd, ma è un fatto che nei primi giorni di campagna (e prima di volare alla convenzione democratica di Charlotte: mossa un po' scontata), il sindaco di Firenze ha mietuto successi superiori alle previsioni. A questo punto sottovalutarlo o demonizzarlo diventa un grave errore. Il Pd dovrà aprirsi e rinnovarsi, non chiudersi a riccio in attesa dell'immancabile vittoria.
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