
Alza la voce, gesticola, batte i piedi, attacca a testa bassa toghe e comunisti. Tutto per sollevare quelle percentuali che, propaganda a parte, inchiodano Letizia Moratti al 42-44%. Un dato da ballottaggio che terrorizza Silvio Berlusconi e che a Milano assume il sapore dell'ultima sfida, con l'elettorato moderato che normalmente fatica a tornare alle urne dopo i quindici giorni e con i leghisti che non hanno mai amato troppo la Sciura dei manifesti con i quali ha incartato Milano, e dei Cento Progetti descritti in un libretto di 160 pagine e 500 mila copie, spedito a tutte le famiglie milanesi.
Il Cavaliere in versione «boia chi molla», come sostiene Francesco Storace, terrorizza le colombe Pdl, agita i sonni di Gianni Letta, toglie il fiato a Paolo Bonaiuti, ma dopotutto ricalca il canovaccio propagandistico di sempre. Se non fosse che il premier, parlando di «test nazionale», rischia di trasformare le amministrative di maggio più o meno nel test che nel '99 costrinse Massimo D'Alema alle dimissioni da presidente del Consiglio. Andare al ballottaggio a Milano sarebbe per il Cavaliere già una prima sconfitta, anche perché - sondaggi alla mano - anche a Napoli si va al secondo turno, mentre il centrosinistra la sera del 16 maggio porterà subito a casa Torino e Bologna.
Se poi il Cavaliere dovesse mancare l'en plein, lasciando all'avvocato Pisapia palazzo Marino, la legislatura tornerebbe in salita e la decisione di far slittare il varo del processo breve a dopo le elezioni amministrative, potrebbe trasformarsi in un boomerang. Ovviamente il Cavaliere non ha nessuna voglia di andare ad elezioni anticipate e la linea degli acquisti di singoli deputati anche in questi giorni, lo conferma. Resta però forte la preoccupazione per un elettorato moderato che, sondaggi alla mano, sta ingrossando le fila degli astensionisti-consapevoli. Ovvero di coloro che alle urne non si recano per scelta. Il tentativo di scuotere il tradizionale blocco elettorale di riferimento, spinge il premier ad alzare i toni, ma l'effetto che alla lunga rischia di provocare come segnalano i sondaggiti, è proprio quello del rigetto dell'ennesima rissa che Berlusconi ingaggia sperando di trovare adeguati avversari e non la solita associazione nazionale magistrati. Gli attacchi al presidente della Camera Gianfranco Fini puntano a relegare i tentativi terzopolisti nel solito blocco di avversari - insieme a toghe e comunisti - che vogliono sovvertire il responso elettorale.
Il clima è destinato quindi a surriscaldarsi, ma non sono solo gli affondi del Cavaliere ad accendere gli animi. Lo scandalo delle firme false sollevato dai Radicali di Cappato e i manifesti «via le Br dalla Procura» del pidiellino Lassini, hanno di fatto cambiato il clima elettorale e Milano potrebbe trasformarsi nell'occasione per l'ennesimo cortocircuito tra politica e giustizia. «Se continuiamo a fare un altro paio di manifestazioni sotto il tribunale di Milano, ci sarà chi aprirà fascicoli per nuove inchieste e ce ne sarà per le giunte di tutta la Lombardia», profetizzava ieri un parlamentare milanese del Pdl. Le spalle robuste e sperimentate del premier, potrebbero rivelarsi non altrettanto grandi per deputati e consiglieri regionali e comunali milanesi che con forza e adeguato sdegno hanno preso le distanze dal manifesto. La vicenda ha accentuato ancor più lo scontro dentro al Pdl tra l'anima forzista del coordinatore Mantovani e l'ala ex An dei La Russa che con difficoltà nei giorni scorsi ha contribuito ad affollare i gazebo pro-Silvio davanti al tribunale di Milano.
Silenzio fragoroso da parte della Lega. L'umore dei lumbard non è dei migliori. Ne sa qualcosa il ministro dell'Interno Roberto Maroni che una decina di giorni fa a Bergamo è stato assediato da una pattuglia qualificata di militanti durante una riunione più o meno riservata. Lo zoccolo duro del Carroccio dà evidenti segnali di impazienza e fatica a comprendere l'utilità di una legislatura tutta segnata dalle emergenze giudiziarie di Berlusconi. Fu più o meno questa considerazione a spingere Umberto Bossi la sera della votazione alla Camera sul processo breve a commentare con un laconico «l'abbiamo votato» a chi gli chiedeva se aveva votato con piacere il ddl. Resta da vedere se anche stavolta il Cavaliere riuscirà a convincere il Senatùr offrendogli argomenti buoni per tenere a freno la base, attrezzandola per spingerla come un sol uomo ancora una volta contro coloro che mettono in dubbio la costituzionalità della prescrizione breve.
Sostenere che le amministrative di metà maggio non sanciranno «la fine del berlusconismo», è la conferma di come il Cavaliere avverta intorno la tentazione di archiviare con una sconfitta, un'intera stagione politica. Bossi è consapevole dei rischi di un possibile epilogo, ma resta alla finestra evitando persino di tenere aperta la contesa su chi sarà il vicesindaco in caso di vittoria della Moratti.
© 2011 Il Messaggero. Tutti i diritti riservati