
L'incontro tra Pier Luigi Bersani e Nichi Vendola è «andato davvero bene», sottolineano entrambi i protagonisti, c'è «condivisione nei contenuti». Il patto tra progressisti da ieri c'è, quello tra progressisti e moderati arriverà. Bersani è soddisfatto: il centro-sinistra da lui immaginato fin dall'elezione a segretario del Pd comincia a prendere forma. Dopo un'ora e mezza di faccia a faccia Vendola dà il via libera a quello che lui battezza «il patto della speranza» («è un bel titolo», commenta poi Bersani), non mette veti all'Udc e soprattutto annuncia la sua candidatura alle primarie dopo aver avuto la garanzia che saranno aperte e che potrà candidarsi solo chi sottoscriverà il patto di legislatura dei democratici e progressisti («ora siamo sicuri che non spunterà un Monti», dice un dirigente Sel). Primarie che Bersani vuole fare, ma che appunto preferisce siano di coalizione: l'ipotesi affacciatasi nei mesi scorsi di una sfida tutta interna tra lui e il sindaco di Firenze Matteo Renzi, pericolosa per gli equilibri di partito a inopportuna a pochi mesi dalle elezioni, è così scongiurata.
Una costruzione non facile, quella che sta mettendo in piedi Bersani. Lo dimostra ad esempio la sollevazione della base di Sel dopo l'apertura di Vendola ai centristi dell'Udc. Da qui la frenata del governatore della Puglia nel pomeriggio («nessun veto e nessuna apertura»). E certi toni un po' alti sullo scottante argomento delle unioni gay: Vendola ha ribadito di volere veri e propri «matrimoni», superando quindi il faticoso compromesso raggiunto all'interno del Pd sul riconoscimento giuridico alle coppie di fatto. Quanto all'impegno voluto da Bersani di prendere decisioni a maggioranza dei gruppi parlamentari sulle questioni controverse, ecco che subito Vendola precisa: «Su alcune grandi scelte come la pace e la guerra, o le questioni eticamente sensibili non basta il voto comune dei gruppi ma serve una forma agile ed efficiente di consultazione del popolo di centro-sinistra». Paletti comprensibili in questa fase, quelli di Vendola, quando ancora la scelta "governativa" deve essere accettata dalla sua base. E l'Idv? È lo stesso Vendola a dire che Antonio Di Pietro si è messo da solo ai margini per «l'eccessivo populismo»: la foto di Vasto, con grande sollievo di liberal veltroniani ed ex popolari del Pd, perde definitivamente uno dei tre protagonisti.
Quanto a Pier Ferdinando Casini, non è difficile immaginare che certe uscite di Vendola (a cominciare dai matrimoni gay) lo abbiano infastidito. Eppure il leader centrista resta rispettosamente alla finestra: «Non commentiamo – fanno sapere dal suo entourage –. Bersani organizza legittimamente il campo dei progressisti, noi quello dei moderati». Come questo campo dei progressisti si presenterà formalmente alle elezioni è tutto altro capitolo, legato alla legge elettorale che alla fine uscirà dalla trattativa avviata ieri in Senato (si veda l'articolo in alto). Se, come sembra, la nuova legge prevederà il premio di governabilità al solo primo partito e non alla coalizione, l'ipotesi pure formalmente rigettata da Vendola di fare una lista unica Pd-Sel potrebbe prendere corpo. È un'ipotesi su cui sta ragionando soprattutto il Pd, nel timore che alla fine il Pdl di Berlusconi possa rimontare fino ad aggiudicarsi il premio. Ma è comunque questione prematura. «Non corriamo, ora pensiamo ai contenuti», frenano da Largo del Nazareno.
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