
Il suo arruolamento nello spot anti-Romney a pochi giorni dal voto sarà ricordato a lungo. E anche la scelta di concedere ai dipendenti della Chrysler un giorno di libertà per andare ai seggi è stata letta come una mossa elettorale. Ci piaccia o meno, Sergio Marchionne, il manager più odiato d’Italia, ha svolto un ruolo nella campagna elettorale pro- Obama tanto che è difficile esaltare il salvataggio pubblico dell’industria automobilistica senza fare i conti (anche) con lui. «Puntare sull’industria dell’auto è stato un buon investimento per Obama, Marchionne tira un sospiro di sollievo» ha scritto con un filo di ironia il direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli nel corso della lunga notte italiana su Twitter quando i risultati sembravano confermare il peso elettorale del bailout dell’auto in stati cruciali come l’Ohio e (meno) il Michigan, la patria delle Big Three (Ford, Chrysler, General Motors). Centinaia di migliaia di posti di lavoro salvati dal denaro pubblico a fronte della più grave crisi del dopoguerra. Solo nell’Ohio si calcolano più di 150mila colletti blu nel settore dell’auto e altre decine di migliaia nell’indotto. La Goodyear (pneumatici) ha sede ad Akron, mentre Toledo ospite un grande stabilimento della Chrysler. Politica industriale, intervento statale, spesa pubblica, voto operaio, minoranze. Non mancano gli argomenti per leggere la vittoria di Obama come una vittoria “di sinistra” e quasi fordista. «Let Detroit Go Bankrupt» scrisse invece Mitt Romney in un articolo sul New York Times nel 2008, una scelta che il presidente americano gli ha rimproverato in campagna elettorale e per la quale lo sfidante ha pagato un prezzo altissimo.
Se, però, si riavvolge il nastro dell’intera vicenda e si allarga l’inquadratura si scopre che il bailout dell’auto è stato possibile grazie a un contesto difficilmente ripetibile nel nostro paese nel quale l’”odiato” manager del Lingotto ha giocato un ruolo non secondario. Nel 2008 Chrysler era un gruppo sommerso dai debiti (8 miliardi di dollari). Oggi, anche grazie alla cura Marchionne, può annunciare profitti in salita dell’80 per cento e un utile netto di 1,5 miliardi. Oggi Fiat controlla il 58,4 per cento del gruppo mentre il restante 41,6 è in mano al fondo sanitario dei metalmeccanici Uaw, ceduto a suo tempo dall’azienda come forma di pagamento per gli oltre 10 miliardi di dollari di debito accumulato nei confronti dei propri dipendenti. Uno scenario insolito per il nostro sistema di relazioni industriali, dove l’amministratore delegato non deve rendere conto ai sindacati-azionisti.
L’altro elemento che spesso si dimentica è che Chrysler ha restituito al governo americano gran parte dei dollari ricevuti in prestito, a tassi che nel 2011 Marchionne definì «da usura» («shyster»), provocando non poche polemiche e costringendolo alle scuse. Terza macro-differenza rispetto all’Italia è che il risanamento aziendale è passato da un intervento di politica industriale molto robusto, che prevedeva – oltre al lancio di nuovi prodotti – un abbassamento dei livelli salariali e un mutamento delle condizioni di lavoro in base alla nuova metrica post-taylorista del World Class Manufacturing, alla quale la Fiom ha dichiarato guerra da tempo.
Automobile Magazine ha appena eletto Marchionne “uomo dell’anno 2013”. I rapporti con i sindacati di Chrysler sono stati anche tesi nel corso della trattativa per il rinnovo del contratto (l’anno corso) ma non si sono mai trasformati in una battaglia legale a oltranza come in Italia. In generale oltreoceano il manager italo-canadese gode di una credibilità e di una reputazione che hanno consentito a Obama di sceglierlo come testimonial per rispondere alle accuse di Romney. «Non porteremo il lavoro in Cina» ha spiegato Marchionne nello spot pro-Obama di quattro giorni fa e il giorno dopo ha inviato una email ai dipendenti del gruppo per chiarire che la Jeep «non sarà mai trasferita in Cina e insinuare qualcosa di diverso è sbagliato».
In Italia, semplicemente, non avrebbe mai potuto farlo e, comunque, nessuno gli avrebbe creduto. Colpa nostra o colpa sua?
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