
12/05/10
Il Giornale
«Chissà che non ci sia un cinquantenne in giro che mi assomiglia fin troppo». Un figlio mai conosciuto, su cui non c’è certezza. Ma il sospetto sì, il dilemma. Un pensiero che attraversa la mente di Marco Pannella da mezzo secolo. E che volontariamente il leader dei radicali lascia nell’angolo grigio del passato: «Ho un forte dubbio su una ragazza che conobbi tanti anni fa, si chiamava Gabriella, era napoletana...».
La memoria di cose mai raccontate, le passioni forti, per le donne, e per gli uomini «tre o quattro che ho amato molto» - le parole su Dio che non comunicano il nulla, ma l’eco di un tormento, e comunque rispetto: «Ogni eccessiva antropizzazione della sua immagine mi sembra un po’ blasfema e sbagliata, qualunque sia il nome dell’assoluto nel quale siamo immersi».
Le confessioni segrete di Giacinto detto Marco Pannella, ottant’anni compiuti il 2 maggio, le ha raccolte Clemente Mimun in un’intervista oggi in edicola per il settimanale Chi. Il leone radicale parla nella sua «vecchia mansarda nel cuore di Roma», il nido dove si nasconde un’intimità inaspettata: tra mucchi di carte e libri, «una via crucis napoletana dell’Ottocento», una statua in legno «che raffigura San Nicola», il ritratto dello zio prete. Il più noto mangiapreti e anticlericale d’Italia aveva un parente stretto che si chiamava proprio come lui, Giacinto, sacerdote.
Lo zio lo guarda dalla parete e Pannella ricorda con il direttore del Tg5 di quando un medico, «il professor Valloti, un endocrinologo», gli disse che con le sue fibre solidissime sarebbe arrivato dove voleva, in qualsiasi campo, dallo sport alla scienza. E si raccomandò: «Al suo posto ringrazierei Dio. Lei ringrazi pure i suoi genitori, o il dna che le hanno donato». «Di certo - risponde adesso Pannella - ringrazio il caso, i miei genitori, e le idee che mi sono state trasmesse. E Dio, anche se fin da quando ero ragazzo mi sono chiesto, se Dio somiglia a noi, che bisogno ce n’è». Per questo di sbagliato, secondo lui, c’è quella sembianza a figura d’uomo, l’immagine «blasfema».
Racconta della madre, che nel ‘23 era una ribelle, per i tempi: guidava, andava all’università, ballava, portava i capelli tagliati molto corti. Del padre che «fino alle 2 del mattino» stava a «leggere e ordinare schede dei libri che possedevamo». La scherma a 6 anni, lo studio del violino, le prime conversazioni di politica con il maestro di musica, «un professore repubblicano, si chiamava Righetti, che ne parlava con me, neanche fossi un adulto. Gli piacevano le domande e io mi appassionavo».
Dice del primo amore, si chiamava Adria, «avevo 8 anni»; dell’incontro con Benedetto Croce, quando ne aveva 17, proprio grazie allo «zio monsignore», che lo aveva pubblicato su una rivista che dirigeva: «Facevo parte della Gioventù liberale. Mi dedicò due ore indimenticabili. Mi dimostrò, tra l’altro, che eravamo parenti».
Poi l’amore. Con tutti i nomi, quelli delle donne: Adria, Mirella, quella ragazza di Napoli, Gabriella, che forse, chissà, cinquant’anni fa. Mai pensato al matrimonio? Una volta, incredibile, Marco Pannella arrivò «addirittura alle pubblicazioni». Con Bianca, «una ragazza che conobbi a Pavia, aveva occhi splendidi, e dolcissimi». Ma «pendeva dalle mie labbra, era troppo innamorata, non poteva andare...». Mai pensato a un figlio? A parte quel sospetto, il pensiero che fluttua ogni tanto, nei ricordi, «con Mirella, la mia compagna di sempre, ci abbiamo riflettuto tanto. Ci dicevamo, quando saremo pronti per essere in tre, perché anche l’altro possa essere felice, lo faremo. Ma io non ne ho mai avuto voglia».
La felicità e l’amore per lui non si muovono su binari prestabiliti. Forse per la prima volta, anzi, Pannella approfondisce la questione. Non nasconde niente: «Ho avuto tre o quattro uomini che ho amato molto, ma non c’è stata alcuna gelosia con lei». Con Mirella. Perché «avevamo anche altre storie, ne parlavamo prima e durante, senza che nulla ci abbia potuto mai dividere». C’è un rimpianto: «Il mio vero rammarico è non aver capito quanto fossi importante per Pasolini, quanto ci e mi amasse». E quando il Gr2 diede la notizia della morte, «non mi sorpresi, era l’ultima stazione del suo golgota, che purtroppo stava preparando da tempo».
Il sogno: «Penso sia realmente possibile una alternativa liberale, come accade ogni due o tre secoli nella storia. Sarò cocciuto, ma non riesco a rinunciarci. Ora basta, ho fame!». Cucina veloce ai fornelli: gnocchi e ravioli ai formaggi, e poi fave e pecorino, per intervistato e intervistatore. Si definisce felice, Pannella? «Sì, perché ho passione per la vita. Ho vissuto con qualche dignità e forse anche con fecondità. Il bilancio lo farà il tempo e la gente comune».
La memoria di cose mai raccontate, le passioni forti, per le donne, e per gli uomini «tre o quattro che ho amato molto» - le parole su Dio che non comunicano il nulla, ma l’eco di un tormento, e comunque rispetto: «Ogni eccessiva antropizzazione della sua immagine mi sembra un po’ blasfema e sbagliata, qualunque sia il nome dell’assoluto nel quale siamo immersi».
Le confessioni segrete di Giacinto detto Marco Pannella, ottant’anni compiuti il 2 maggio, le ha raccolte Clemente Mimun in un’intervista oggi in edicola per il settimanale Chi. Il leone radicale parla nella sua «vecchia mansarda nel cuore di Roma», il nido dove si nasconde un’intimità inaspettata: tra mucchi di carte e libri, «una via crucis napoletana dell’Ottocento», una statua in legno «che raffigura San Nicola», il ritratto dello zio prete. Il più noto mangiapreti e anticlericale d’Italia aveva un parente stretto che si chiamava proprio come lui, Giacinto, sacerdote.
Lo zio lo guarda dalla parete e Pannella ricorda con il direttore del Tg5 di quando un medico, «il professor Valloti, un endocrinologo», gli disse che con le sue fibre solidissime sarebbe arrivato dove voleva, in qualsiasi campo, dallo sport alla scienza. E si raccomandò: «Al suo posto ringrazierei Dio. Lei ringrazi pure i suoi genitori, o il dna che le hanno donato». «Di certo - risponde adesso Pannella - ringrazio il caso, i miei genitori, e le idee che mi sono state trasmesse. E Dio, anche se fin da quando ero ragazzo mi sono chiesto, se Dio somiglia a noi, che bisogno ce n’è». Per questo di sbagliato, secondo lui, c’è quella sembianza a figura d’uomo, l’immagine «blasfema».
Racconta della madre, che nel ‘23 era una ribelle, per i tempi: guidava, andava all’università, ballava, portava i capelli tagliati molto corti. Del padre che «fino alle 2 del mattino» stava a «leggere e ordinare schede dei libri che possedevamo». La scherma a 6 anni, lo studio del violino, le prime conversazioni di politica con il maestro di musica, «un professore repubblicano, si chiamava Righetti, che ne parlava con me, neanche fossi un adulto. Gli piacevano le domande e io mi appassionavo».
Dice del primo amore, si chiamava Adria, «avevo 8 anni»; dell’incontro con Benedetto Croce, quando ne aveva 17, proprio grazie allo «zio monsignore», che lo aveva pubblicato su una rivista che dirigeva: «Facevo parte della Gioventù liberale. Mi dedicò due ore indimenticabili. Mi dimostrò, tra l’altro, che eravamo parenti».
Poi l’amore. Con tutti i nomi, quelli delle donne: Adria, Mirella, quella ragazza di Napoli, Gabriella, che forse, chissà, cinquant’anni fa. Mai pensato al matrimonio? Una volta, incredibile, Marco Pannella arrivò «addirittura alle pubblicazioni». Con Bianca, «una ragazza che conobbi a Pavia, aveva occhi splendidi, e dolcissimi». Ma «pendeva dalle mie labbra, era troppo innamorata, non poteva andare...». Mai pensato a un figlio? A parte quel sospetto, il pensiero che fluttua ogni tanto, nei ricordi, «con Mirella, la mia compagna di sempre, ci abbiamo riflettuto tanto. Ci dicevamo, quando saremo pronti per essere in tre, perché anche l’altro possa essere felice, lo faremo. Ma io non ne ho mai avuto voglia».
La felicità e l’amore per lui non si muovono su binari prestabiliti. Forse per la prima volta, anzi, Pannella approfondisce la questione. Non nasconde niente: «Ho avuto tre o quattro uomini che ho amato molto, ma non c’è stata alcuna gelosia con lei». Con Mirella. Perché «avevamo anche altre storie, ne parlavamo prima e durante, senza che nulla ci abbia potuto mai dividere». C’è un rimpianto: «Il mio vero rammarico è non aver capito quanto fossi importante per Pasolini, quanto ci e mi amasse». E quando il Gr2 diede la notizia della morte, «non mi sorpresi, era l’ultima stazione del suo golgota, che purtroppo stava preparando da tempo».
Il sogno: «Penso sia realmente possibile una alternativa liberale, come accade ogni due o tre secoli nella storia. Sarò cocciuto, ma non riesco a rinunciarci. Ora basta, ho fame!». Cucina veloce ai fornelli: gnocchi e ravioli ai formaggi, e poi fave e pecorino, per intervistato e intervistatore. Si definisce felice, Pannella? «Sì, perché ho passione per la vita. Ho vissuto con qualche dignità e forse anche con fecondità. Il bilancio lo farà il tempo e la gente comune».
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