
21/10/10
Giorno/Resto/Nazione
È trascorsa solo una manciata di settimane da quanto Barak Obama, con foto di gruppo e strette di mano che ricordano tanto qualcosa di già visto, ha lanciato l'ennesima iniziativa americana per la pace in Medio Oriente. Ma già i media hanno smesso di parlarne.
La questione dei nuovi insediamenti ebraici a Gerusalemme Est è la causa ufficiale - alcuni dicono il pretesto per questo nuovo insabbiamento di una trattativa che nessuno può rifiutare, ma che nessuno vuole davvero. A Netanyahu, il cui governo è amoralmente sostenuto dai radicali di Lieberman, per il momento va bene così, e intanto procede con le costruzioni. Abu Mazen, che non può perdere la faccia ammettendo che Israele è Stato ebraico, sa che Hamas sarebbe comunque in grado di affondare in qualsiasi momento ogni sua trattativa. Hamas si sente in una posizione forte, mentre un accordo dell'Autorità palestinese con Israele rischierebbe di erodere il vantaggio politico in cui ora si trova.
Molto meglio rimanere arbitro minaccioso di una situazione di stallo che potrebbe durare ancora a lungo. Poi, si vedrà. Obama, però, non ha più molto tempo ed è ansioso di arrivare comunque a una soluzione. Proprio come in Afghanistan. Non è improbabile che lo stallo possa servire agli Usa per ripresentarsi a mediare con una nuova policy, simile a quella in via di maturazione con i talebani. Obama e i suoi consiglieri potrebbero aver constatato che Hamas oggi è più forte di due anni or sono.
L'isolamento, quindi, non paga, e lo strangolamento economico rischia di ritorcersi contro, e Hamas sembra rafforzata anche in termini militari. La politica degli Stati Uniti e quella di Israele, al riguardo, sinora non sono cambiate. Mentre a Gerusalemme c'è chi pensa di riprendersi Gaza prima che diventi troppo forte, negli Stati Uniti si comincia a pensare in modo più possibilista: perché non tentare di convincere Hamas a non ostacolare il processo di pace, offrendo di alleviare alcune sue vulnerabilità? Per fare questo, però, è necessario allentare l'isolamento. In caso di fallimento, non ci sarebbe altra via che ritornare sui propri passi e lasciare mano libera a Israele.
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