
Caro direttore, una volta tanto scrivo "pro domo mia", a sostegno di una iniziativa per cui mi sono spesa insieme con i cittadini del più diverso orientamento politico. Sono gli otto referendum intitolati "Roma sì muove".
In questo week-end cento tavoli nella Capitale daranno a tutti l'opportunità di firmarli e mi piacerebbe che le sottoscrizioni fossero migliaia, a cominciare da quelle dei lettori del Fatto. I referendum parlano di registro delle unioni civili, testamento biologico, azzeramento del consumo di territorio, moralizzazione delle aziende del Comune, diritto alla fruizione di spiagge e mare, traffico. Non entro nei dettagli, ci sono i siti Internet per questo.
Mi interessa di più il filo conduttore dei quesiti, che è quello di far emergere il colossale conflitto di interesse che ormai divide i romani dai poteri forti cittadini, dalle gerarchie ecclesiastiche ai famosi "palazzinari" fino a un'amministrazione che nei doppi e tripli ruoli di molti suoi protagonisti ricorda il memorabile Edoardo Nottola, consigliere-affarista di "Le mani sulla città".
I referendum sono a disposizione dei partiti. Tutti. Il sindaco Alemanno è stato sollecitato a firmarli, così come il suo sfidante Zingaretti. Finora non lo hanno fatto. Il ministro per la Coesione territoriale Fabrizio Barca ne ha sottoscritti tre (unioni civili, testamento biologico, stop all'occupazione del suolo). Ha firmato il ministro dell'Agricoltura Catania, il presidente del Wwf Giovanni Leoni, e poi urbanisti come Paolo Berdini e ambientalisti come Mario Tozzi.
L'Idv si è unita formalmente alla campagna. Tra i capofila della mobilitazione ci sono il radicale Mario Staderini e il finiano Umberto Croppi, che senza difficoltà si sono ritrovati a fianco del vendoliano Sandro Medici e dei molti esponenti del Pd che aiutano ad autenticare le firme. Non mi spiego la difficoltà dei grandi partiti non dico di aderire, ma persino di esprimere un'opinione su domande così semplici e chiare.
Quando Pisapia ha introdotto a Milano il registro delle unioni civili, si sono sprecati i commenti positivi sull'iniziativa: è così difficile esporsi e dire con chiarezza che la stessa cosa si può e si deve fare a Roma? Quando nei convegni si discute della sostituzione dei Cda delle municipalizzate con amministratori unici, gli applausi sono bipartisan. E un problema schierarsi perché Atac, Metropolitane srl, Roma Servizi, Ama, Zetema e le altre adottino questo modello con un risparmio di 500 milioni l'anno? Caro direttore, lo scambio di invettive tra Grillo e Bersani e lo scontro giornalistico tra Il Fatto e Repubblica hanno riacceso il dibattito su destra/sinistra e sulla attualità di queste categorie, che gli apparati di partito -a cominciare da Pdl e Pd- difendono come ultimo appiglio per definire il nemico e chiedere consenso. Ma poi quando si va sulle questioni, sulle proposte precise, sull'indicazione di modelli che richiedono scelte, impegni per il futuro e un minimo di rischio, prevalgono l'afasia e il disimpegno.
Tra i '70 e gli '80 destra e sinistra definirono se stesse sul divorzio e l'equo canone, sull'aborto e sulla scala mobile, sull'autodeterminazione delle donne e sull'idea di urbanistica, scuola, servizi. Un ritorno a quell'approccio ideologico sarebbe davvero improponibile e nefasto, ma almeno è possibile dirci chi è a favore del libero accesso alle spiagge e chi no? Si può fare? O ci rifugeremo nella libertà di coscienza anche in materia di piani regolatori, per non urtare nessuno? In ogni caso, spero che ci pensino i romani.
Con 50mila firme entro il 5 ottobre i referendum diventeranno realtà e sarà la città a dare le sue indicazioni al prossimo sindaco, chiunque sia. È già successo a Milano, succede ogni anno a Parigi, Londra, Zurigo, Berlino, dove la consultazione dei cittadini su cose così è considerata un normale strumento democratico e aiuta la politica a mantenere rapporti di rappresentanza diretti. In ogni caso, Roma ne uscirà più europea, e anche questo non è un risultato da poco.
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