
Un anno fa. «Ovunque girassi gli occhi vedevo facce come la mia: tirate, preoccupate, smarrite. Facce completamente dissanguate, facce come fiori strappate dalle radici, dai colori presto svaniti». Cita il John Fante di Chiedi alla polvere, Marisa, per descrivere quelle prime ore dell’alba di un anno fa, quando nel buio della notte, con una luna che faceva capolino di tanto in tanto tra le nuvole, l’unica certezza era averla fatta franca. E di polvere, all’Aquila, da interrogare sul futuro di questa terra, ne è rimasta ancora tanta Marisa con i suoi figli è tra i tanti che ieri pomeriggio sono partiti con una fiaccola in mano dalle frazioni di Pettino, Roio, Torrione e Sant’Elia, o in corsa a staffette organizzate dalle Acli dai paesi limitrofi al capoluogo, Tornivi parte, Lucoli, Poggio Picense, Calstelnuovo, per raggiungere il centro storico e unirsi alla fiaccolata di mezzanotte, momento clou dei due giorni di lutto cittadino e della cerimonia di commemorazione con la lettura, alle 3.32, la prima scossa - dei nomi delle 308 vittime del sisma.
Ieri però ovunque si vedevano facce assorte, sguardi rivolti al passato. Gli aquilani, ieri, si riconoscevano così, persi in luoghi e momenti che solo i tanti volontari dei vigili del fuoco e della protezione civile, tornati da tutta Italia per stringersi alla popolazione locale assistita subito dopo il terremoto, potevano capire. «Un anno fa c’era il sole: una scampagnata come mille altre. Una casetta di montagna, vecchio rifugio di pastori transumanti, senza acqua né luce. La voglia di cercare l’aria aperta, e rinunciare alle comodità di una vita normale in città. Solo per poche ore... E poi ognuno a casa propria. Al caldo. E sicuri, nei propri letti, prima di tornare alla routine quotidiana... Ad averlo saputo prima!», scrive Fabrizio su Facebook che è diventata ormai la piazza virtuale degli aquilani ostinatamente recalcitranti ai centri commerciali, nuovi punti di aggregazione in una città rimasta senza cuore e senz’anima. Al punto che ieri il gruppo «Una candela per l’Aquila», nato sul social network per aderire alla fiaccolata senza simboli religiosi e di partito organizzata dal comitato dei parenti delle vittime della Casa dello studente, ha totalizzato ben 22 mila adesioni.
Un anno dopo all’Aquila è arrivato il circo, ed è l’unica distrazione per i bambini che a frotte lo riempiono nel pomeriggio di Pasquetta. E il 5 aprile, a poche ore dal primo anniversario della scossa delle 3.32, per tutti è trascorso nel segno di una nostalgia straziante per «la vita normale di prima». Mentre la terra ancora adesso continua a tremare. «Prima» da queste parti si erano quasi abituati alla terra che
tremava in continuazione da mesi: più di ottocento le scosse percepite, migliaia e migliaia quelle registrate dai fisici dell’INGV (Istituto di geofisica e vulcanologia). Il 30 marzo però due scosse di magnitudo 3.5 e 4, a distanza di cinque minuti l’una dall’altra, avevano fatto riversare in strada tutta la popolazione del capoluogo abruzzese. La paura c’era, il nervosismo aumentava. Gli occhi però erano soprattutto puntati su Sulmona dove il giorno prima una scossa più forte aveva reso più allarmistiche le previsioni di un ricercatore dei laboratori del Gran Sasso, Giampaolo Giuliani, in polemica con il mondo accademico che non ha mai riconosciuto la validità dei suoi esperimenti sul radon come precursore sismico, e che venne in seguito denunciato per procurato allarme.
Chiacchiere, polemiche, notizie e smentite, ma nessuna prevenzione, nessuna esercitazione, nessun piano di evacuazione, nemmeno uno straccio di previsione su dove piantare eventualmente le tendopoli, come sarà evidente più tardi. Soprattutto, nella testa di ciascuno era ormai entrato il refrain tranquillizzante della protezione civile: «Nessun pericolo, più continuano le scosse più energia si scarica e più siete al sicuro», era il messaggio veicolato da tutti gli organi d’informazione locali. L’attesissima riunione della Commissione Grandi rischi, convocata finalmente il 31 marzo alle 18:30, non era durata nemmeno un’ora e si era conclusa senza nemmeno un documento scritto, se si esclude il verbale. Il capo del Dipartimento di Protezione civile Guido Bertolaso, non era presente ma aveva inviato personali saluti tramite il suo vice, Bernardo De Bemardinis.
C’erano invece il presidente vicario della Commissione, Franco Barberi, il responsabile dell’ufficio rischio sismico del Dipartimento Pc, Mauro Dolce, l’allora presidente dell’Ingv Enzo Boschi (che in seguito
scriverà una lettera molto polemica nei confronti della Protezione civile riguardo il comportamento di quella sera), il direttore del Centro nazionale terremoti Giulio Selvaggi, il sindaco Massimo Cialente e altri tre funzionari del Dipartimento. Per Boschi, come risulta dal verbale della riunione, era «improbabile» «a breve una scossa come quella del 1703, pure se non si può escludere in maniera assoluta». Molto più drastico il giudizio di Barberi che - recita il verbale - «conclude che non c’è nessun motivo per cui si possa dire che una sequenza di bassa magnitudo possa essere precursore di forte evento... qualunque previsione non ha fondamento scientifico».
Per De Bernardinis, addirittura, le autorità e le amministrazioni locali avrebbero dovuto rassicurare la popolazione: «Dite agli abruzzesi di dormire tranquilli e di bersi un buon calice di Montepulciano», riferiscono i tantissimi che quella frase se la sono stampata bene in mente quasi quanto le risate degli avvoltoi. La notizia, diffusa da alcuni organi di stampa, secondo la quale sul tavolo del procuratore capo dell’Aquila Alfredo Rossini ci sarebbe un dossier della polizia che accusa i vertici della Protezione civile di omicidio colposo per il mancato allarme, malgrado non trovi riscontri diretti, ha già fatto il giro della città e dei 48 comuni del cratere sismico. «Stiamo indagando anche su questo fronte ma per il momento non ci sono novità», assicura al manifesto il procuratore Rossini.
Bertolaso ieri si è difeso rispondendo ai cronisti di non aver «mai saputo» dell’esistenza di un’eventuale informativa giudiziaria: «Se esiste, non l’ho vista, non la conosco, per quello che mi riguarda, mi devo sempre basare sui fatti e sulle azioni concrete, ha affermato ieri partecipando all’inaugurazione di una mensa per poveri gestita dal Movimento celestiniano - Quando mi chiameranno per chiedere qualche elemento e qualche spiegazione sono sempre pronto a darli. Per il resto, sono solamente voci». E, prima dì ricordare come se nulla fosse che «per la ricostruzione ci vorranno anni, lo abbiamo sempre detto», Bertolaso incassa: «Sanno tutti che noi abbiamo convocato cui all’Aquila i maggiori esperti a livello
mondiale sul rischio sismico e non mi pare che nessuno di loro abbia mosso una critica a quello che è stato l’agire e l’intervento che abbiamo messo in piedi».
Bertolaso è consapevole che all’Aquila tutti sanno e tutti ricordano: non dimenticano per esempio l’ultima scossa delle 22.49, la più forte degli ultimi tempi. Prima di quella distruttiva di 5,8 gradi. Le mille storie che raccontano quegli istanti hanno un comune denominatore: «Ci avevano tranquillizzato, solo i più impauriti tra noi sono scesi in strada, gli altri sono rimasti in casa. Poche ore dopo una belva ululante ha spazzato via tutto».
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