
La recente elezione a segretario del Partito Radicale di Demba Traoré, avvocato del Mali, fautore della nonviolenza e musulmano praticante, ha giustamente catalizzato l'attenzione di quanti (assai pochi in verità) hanno seguito il congresso del movimento politico guidato da Marco Pannella. Tuttavia, a giudizio di chi scrive, l'avvenimento più importante del congresso radicale è stato un altro: il discorso pronunciato da Saad Ibrahim, l'esponente politico egiziano storico oppositore del regime di Mubarak.
Ibrahim può essere considerato una delle più nobili figure della vita politica egiziana. Più volte arrestato e processato per le sue idee, ha trascorso lunghi periodi nelle carceri di quel paese, dal quale si è poi dovuto prudentemente allontanare per andare a vivere in esilio. All'epoca del processo, Emma Bonino assistette a tutte le udienze, conquistando l'attenzione dell'opinione pubblica occidentale e sollevando molte proteste, che i giudici del regime di Mubarak non poterono ignorare.
Il discorso di Ibrahim è stato importante per due ragioni. La prima è che egli ha esplicitamente indicato, fra i nemici delle rivolte popolari che hanno rovesciato i regimi autocratici in molti paesi arabi, gli integralisti islamici. Così come in Russia i bolscevichi erano "una piccola banda" nel febbraio del '17 ma a ottobre presero il potere; così come - sessant'anni dopo - gli Ayatollah in Iran erano "un piccolo gruppo di zeloti islamici" nel gennaio del '79 e a novembre presero il potere; altrettanto oggi le rivolte popolari arabe rischiano di finire soffocate dai "dirottatori", ha detto Ibrahim.
I nemici delle rivolte popolari sono dunque tre: i «reazionari» (cioè i seguaci di Mubarak, Ben Alì, Gheddafi eccetera) i militari con il loro entourage statale e infine gli estremisti islamici. In particolare Ibrahim ha accusato la «cupidigia» di questi ultimi, che vorrebbero sfruttare l'apertura democratica, utilizzare il principio "un uomo un voto" solo per conquistare il potere, per poi abolirlo una volta al governo.
Occorre dunque sostenere i democratici arabi, sostenere i giovani del Medio Oriente: è l'appello che il vecchio oppositore rivolge alle democrazie occidentali. «Se riusciremo a consolidare le rivolte, avremo lo sviluppo e soprattutto la pace». Questo è il secondo elemento di novità, cruciale, del discorso rivolto alla platea radicale. Fra due paesi autenticamente democratici la guerra è assai più difficile, dunque la giustizia, la democrazia e la pace - ancora questa parola! - sono il vero traguardo delle sollevazioni popolari del mondo arabo. «Vivremo finalmente in una regione caratterizzata dalla democrazia e dalla pace!». La pace dunque non come semplice auspicio bensì indicazione politica, particolarmente importante proprio perché proveniente da un paese arabo fra i più importanti di tutta la regione.
Di fronte a questo l'Occidente non può stare a guardare, sperando in una piega positiva degli eventi, ma deve attivarsi e assumere un'iniziativa politica, affinché "quegli" eventi prendano "questa" piega e non uri altra, tragica e drammatica. E Europa, in particolare, non deve restare indifferente a questo appello, se vuole corrispondere alla sua vocazione e conservare la sua anima.
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