
«L'euro non è in discussione». Quante volte politici, banchieri centrali, autorità europee hanno ribadito questo concetto: la rottura della moneta unica europea non è neppure un'opzione. È solo fantasia. Peccato però che i mercati finanziari, le politiche commerciali dei vari Stati europei e l'attività all'estero delle banche smentiscano nei fatti queste rassicurazioni: sono i mercati e l'economia a dividere quell'area euro che la politica (solo a parole e solo a volte) cerca di tenere insieme. I dati parlano chiaro.
Come i mercati dei titoli di Stato spingano l'Europa al divorzio è noto. Alcuni Paesi hanno un tale afflusso di capitali che i loro titoli di Stato hanno rendimenti a zero o bassissimi. È il caso dei Paesi forti come Germania, Finlandia, Austria e Olanda. Ma anche dei meno forti, come Belgio e Francia. Altri Stati, soprattutto Italia e Spagna, vivono invece in una situazione opposta: deflusso di capitali finanziari e tassi d'interesse che salgono. La fuga è evidente, e quantificabile, nei dati del Fondo monetario: dalla metà del 2011 da Italia e Spagna sono fuoriusciti capitali finanziari e bancari per circa 250 miliardi di euro a testa. Questo rende insostenibile la vita dei Paesi deboli e artificialmente facile quella dei Paesi forti. Lo spread di fatto separa in casa le due metà dell'Europa.
Ma questa è solo una delle tante forze centrifughe dell'area euro. Anche dal punto di vista commerciale i vari Stati sembrano piano piano "smarcarsi" dalle sue sorti. Se nel periodo gennaio-aprile 2011 – secondo i dati Eurostat – la Germania ha prodotto fuori dall'area euro (17 Stati) il 59% del suo export totale e fuori dall'Unione europea (27 Stati) il 39,4%, nello stesso periodo del 2012 le percentuali sono ben diverse: fuori dall'area euro è andato il 61% dell'export totale tedesco, fuori dall'Europa il 41,6%. Insomma: in un solo anno la Germania ha ridotto il peso delle sue esportazioni in Europa di un paio di punti percentuali e le ha aumentate fuori. E se si guarda un lasso di tempo più lungo lo "smarcamento" è ancora più evidente.
Bene inteso: non è la sola Germania a comportarsi così. Nel periodo gennaio-aprile 2012 la Francia ha prodotto fuori dall'area euro il 52% del totale export, contro il 50% dell'anno prima. La Finlandia ha realizzato fuori il 72% dell'export, contro il 68% dell'anno precedente. E anche gli altri Paesi, inclusi Italia e Spagna hanno fatto lo stesso: il Belpaese nei 4 mesi di quest'anno ha per esempio aumentato l'export extra-euro del 7% e ridotto quello intra-euro dello 0,5% rispetto allo stesso periodo del 2011. Ovvio che questo sia dovuto a molteplici motivi, a partire dalla recessione europea. Ma l'esito è lo stesso: piano piano le interconnessioni commerciali tra i Paesi europei si riducono. E anche l'interesse a stare tutti insieme.
Stesso discorso per le banche europee: negli ultimi anni stanno tutte riducendo l'esposizione nel Vecchio continente. Sono i dati della Bri a dimostrarlo. Le banche francesi nel 2009 avevano il 61,7% della loro esposizione estera in Europa (extra Francia): percentuale scesa al 55% a dicembre 2011 e al 54,9% a marzo 2012. Stesso discorso per le banche tedesche: nel 2009 avevano in Europa il 63% dell'esposizione estera, a fine 2011 la percentuale era scesa al 58% e a marzo 2012 al 56%. Solo le banche italiane non hanno cambiato le percentuali. Ovviamente all'interno dell'area euro alcuni Paesi hanno attirato capitali e altri li hanno respinti. Ma anche qui il messaggio è chiaro: l'Europa delle banche è sempre meno unita. Ovvio che si tratti di movimenti lenti, anche perché le interconnessioni economiche tra i vari Paesi sono troppo forti e radicate. Ma il trend è chiaro: se l'area euro non trova il modo per ricreare un habitat favorevole per tutti, presto o tardi le forze centrifughe supereranno le ragioni per tenere in vita l'euro.
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