
Marco Perduca è stato Senatore Radicale dal 2008 al 2013 in Commissione Esteri e Giustizia e segretario della Commissione speciale per la tutela dei dritti umani del Senato della Repubblica. Prima di una breve parentesi come consulente alla Farnesina dal 2006 al 2008, Perduca ha rappresentato il Partito Radicale alle Nazioni Unite tra New York, Ginevra e Vienna – responsabilità che ha ripreso dall’inizio del 2014. Per due anni è stato il coordinatore del gruppo italiano della Ong “Parliamentarians for Global Action” ed è membro dei consigli direttivi di “Nessuno Tocchi Caino” e “Non c’è Pace senza Giustizia”. Di Perduca, da qualche giorno, è disponibile il primo libro intitolato: “Operazione Idigov, come il Partito Radicale ha sconfitto la Russia di Putin alle Nazioni Unite” con introduzione di Emma Bonino.
Ne parliamo con Marco Perduca:
Nella primavera del 2000, la Federazione russa di Vladimir Putin chiese l’espulsione del Pr dalle Nazioni unite per aver fatto parlare davanti alla Commissione diritti umani di Ginevra il parlamentare ceceno Akhyad Idigov, Ci racconti come Idigov si avvicinò al Partito Radicale e quali furono i primi approcci?
Il contatto con Akhyad Idigov arrivò tramite l’Unpo, l’organizzazione delle nazioni e popoli non rappresentati con la quale il Partito Radicale collaborava da anni in particolare durante la Commissione sui diritti umani. Nella settimana in cui Idigov prese la parola a Ginevra, in Cecenia era in atto quella che poi si sarebbe dimostrata essere la fase finale della seconda guerra cecena. Idigov voleva denunciare le sistematiche violazione dei diritti umani commesse dall’armata russa e proporre un articolato piano di pace che potesse esser intavolato sotto la supervisione della Comunità internazionale. Allo stesso tempo, i ceceni, e noi con loro, chiedevano che venisse creato un tribunale internazionale ad hoc per giudicare i crimini commessi nella loro terra contro la popolazione civile.
Idigov, Akhmadov, Maskhadov e Kanbiev, e gli altri ceceni con cui il Partito Radicale collaborava, anche attraverso l’Organizzazione delle nazioni e popoli non rappresentati, stavano lavorando a un piano di pace da siglare sotto l’egida delle Nazioni Unite che prevedeva, tra le altre cose, l’istituzione di un’amministrazione provvisoria dell’Onu in Cecenia. Una proposta di compromesso avanzata da parte cecena in discontinuità con la lotta armata e che rinunciava alla richiesta di un’immediata indipendenza. Una proposta che era stata sviluppata in seno al Partito Radicale. Quale fu la prima reazione della Russia?
Fin dai primi anni Novanta Mosca riteneva che qualsiasi richiesta di “auto-determinazione” dei ceceni fosse da considerarsi una campagna terroristica portata avanti da gruppi che avevano come unico obiettivo la secessione dalla Federazione russa. Ora, se è vero che la prima guerra cecena fu portata avanti con quell’intento, è altrettanto vero che la pace tra le parti fu siglata con un trattato – e noi sappiamo che i trattati vengono firmati da entità sovrane. L’ambiguità della soluzione del conflitto e, soprattutto, la totale mancanza di mantenimento della parola data da parte dei russi, fecero sì che dopo le elezioni delle istituzioni cecene del 1997 – monitorate e certificate dalle organizzazioni internazionali – iniziò una campagna di diffamazioni e provocazioni nei confronti del capo dell’amministrazione cecena Maskhadov e dei suoi nel tentativo di farli apparire come dei violenti terroristi contigui a gruppi jihadisti che volevano istituire un califfato in tutto il Caucaso. In particolare fu proprio Vladimir Putin a cavalcare questo spauracchio ceceno per rafforzare la propria immagine di uomo forte e per creare un’ondata di nazionalismo russo da imporre alla periferia della Federazione giustificando una potente manu militari.
Da quello che è descritto nel volume ad oggi, cosa è cambiato in Cecenia e cosa può ancora fare il Partito Radicale Transazionale e Nonviolento?
Per vedere cos’è cambiato basta fare una rapida ricerca per immagini su internet mettendo come parole chiavi “Grozni guerra” e “Grozni 2014”. Si passa dall’inferno al paradiso, almeno superficialmente. Nell’aprile del 2000, durante la 56esima sessione della Commissione diritti umani, si aggirava per Ginevra anche Akhmad Kadyrov, il gran muftì di Grozni che a luglio di quell’anno sarebbe stato proclamato da Mosca amministratore ad interim della Cecenia “liberata” e successivamente eletto governatore. Kadyrov, ucciso nel maggio del 2004 in un attentato durante una manifestazione pubblica, avviò quel processo di normalizzazione noto col nome di “cecenizzazione” cioè di imposizione di ceceni filo-russi all’interno dei gangli dell’amministrazione pubblica nel tentativo di proiettare l’immagine di una Cecenia buona che voleva la pace contro i ribelli intenti solo nella lotta armata contro Mosca. In pieno stile imperiale, a Kadyrov è successo il figlio Ramzan il quale, grazie ai fortissimi investimenti russi, ha ricostruito il paese dando la caccia ai ribelli con tutti i metodi leciti e illeciti. Tra questi la compravendita di informazioni e lealtà, quelle stesse informazioni e lealtà che dettero la morte a Maskhadov nel 2005 quando era pronto a un cessate il fuoco unilaterale, una decisione che la leadership cecena aveva maturato grazie al lavoro di Umar Khanbiev, già ministro della sanità cecena e “rifugiato” a Roma grazie al Partito Radicale. Ciò che può esser fatto oggi relativamente alla Cecenia è in primis non dimenticare. Non dimenticare cosa sia successo, come e perché. Temo infatti che la “cecenizzazione” sia stata guadagnata con ricatti, soprusi e continue violazioni dei diritti umani per cui una minima scintilla potrebbe innescare un drammatico ritorno di fiamma. Tra le altre cose la Cecenia è ricca di petrolio.
Per giustificare l’espulsione del Partito Radicale dall’organismo Onu la Russia additò al Partito anche una proposta di legge sulla pedofilia on-line. Tali vicende, durante il dibattito, furono da te raccontante in un collegamento “particolare” con Radio Radicale, ci descrivi quelle ore?
Le ore di quella che Marco Pannella chiamò “cronaca pirata” furono ore tesissime. In pochi minuti si sarebbe concluso il lavoro di mesi di contatti con una cinquantina di paesi per tentare di rigettare le richieste di sanzione dei russi. Ma si sarebbe anche potuto concludere un quinquennio di attività radicali all’interno delle Nazioni Unite qualora Mosca avesse prevalso. Non passava giorno che i diplomatici russi non fabbricassero accuse diffamanti e infamanti nei nostri confronti. Quotidianamente scandagliavano il sito del Partito Radicale alla ricerca di attività che, manipolate e mistificate, avrebbero potuto renderci molto controversi non solo agli occhi dei nostri avversari tradizionali ma anche di quei paesi che invece ritenevano che, non fosse altro che per garantire la libertà di espressione, non si potesse espellere dall’Ecosoc un’organizzazione che aveva fatto parlare un politico legalmente eletto. Era in atto un vero e proprio attacco alla verità da parte della Russia e dei suoi alleati tradizionali.
Molti furono i paesi che sostennero le ragioni del Partito Radicale Transazionale e Nonviolento, ci descrivi quali furono le nazioni ad intervenire con gli argomenti che più ti colpirono? Quali nazioni invece affiancarono la proposta della Russia?
Se la Francia non fosse stata alla Presidenza di turno dell’Unione europea e la Germania non fosse stata membro del Comitato sulle Organizzazioni non-governative penso che tutta la vicenda avrebbe preso una piega molto differente. Oltre al comportamento impeccabile di Parigi e Berlino, la cosa che comunque più mi colpì fu il comportamento esemplare degli Stati Uniti che ancora non ci conoscevano bene ma che ci dettero la loro fiducia nel merito delle questioni da noi sollevate e nel metodo con cui avevamo pianificato la nostra difesa evitando di porci problemi procedurali che, in un contesto multilaterale, possono diventare mortali. Anche i Paesi Bassi e il Canada ci sostennero come se fossero compagni di lotta mentre molto deludente fu l’ambiguità di alcuni paesi latino-americani ancora proni di certe dinamiche onusiane e terzomondiste per cui l’amico del mio nemico è mio nemico. A fianco della Russia si schierarono fin da subito Cina e Cuba, i due paesi sui quali in quei mesi, tanto dentro quanto fuori dal Palazzo di Vetro, il Partito Radicale era più attivo. A questo primo gruppo, col passare delle settimane, si unirono anche i soliti noti, Sudan, Zimbabwe e Siria, e, purtroppo, anche Algeria e India.
Il tuo libro descrive i contatti, le azioni e le reazioni dei soggetti coinvolti nel conflitto caucasico. Ma dopo la Russia in seguito fu il Vietnam e nel maggio 2013 la Cina. Tali paesi hanno sempre mostrato l’intenzione di voler la sospensione o l’espulsione del Partito Radicale dall’Onu. Il lavoro per i diritti umani del Partito Radicale ha, fino ad oggi, sconfitto le pretese dei governi dispotici. Ma, tutte queste vicende sono sconosciute all’informazione pubblica dei cittadini. Come reagire a tale status di non-informazione?
Quanto fatto dal Partito Radicale all’interno del sistema delle Nazioni Unite, e chiaramente anche fuori, ha sempre unito denunce a proposte. Tanto per la Cecenia, dove invocavamo la mediazione negoziale del Consiglio d’Europa e la creazione di un tribunale ad hoc, quanto per la Cina, dove da anni sosteniamo la “via di mezzo” del Dalai Lama a favore di una federalizzazione della Repubblica popolare cinese o per il Vietnam dove chiediamo il rispetto della loro costituzione e gli obblighi internazionali derivanti dal fatto che Hanoi ha ratificato moltissimi trattati in materia di diritti umani senza però modificare conseguentemente le proprie leggi o le proprie politiche, abbiamo sempre cercato di contribuire al dibattito politico tra governi, là dove questo esisteva, oppure suscitarlo là dove invece le questioni che sollevavamo erano del tutto dimenticate se non ignorate bellamente. E’ il caso dei popoli indigeni degli altopiani centrali vietnamiti, i cosiddetti Montagnards, che furono al centro della seconda richiesta di sanzione che abbiamo subito all’Onu nel 2002 da parte del Vietnam.
Nel volume sono raccolti documenti ufficiali del governo Russo e delle Nazioni unite, memorandum interni del Partito e tuoi ricordi personali di radicale rappresentante all’Onu. Quale criterio storico politico hai utilizzato nella pubblicazione di questi documenti e fonti?
Ho cercato di raccontare una storia senza scrivere un libro di storia. E, siccome al Partito Radicale prevale la tradizione orale e comunque un certo “disordine”, formale, e a volte strutturale, ho cercato di rendere questo modus operandi anche nella scrittura. Spero di poterne trarre anche un e-book a un certo punto per collegare i ricordi a tutti i documenti ufficiali ivi comprese le storie di chi appare giusto per un’unica citazione.
L’importanza di tale libro la si evince già dalla introduzione di Emma Bonino: “E’ raro che escano libri sul Partito Radicale, è molto raro che vengano scritti da radicali, ma è ancora più raro che questi affrontino le attività che il partito ha portato avanti in seno alle Nazioni Unite”. Come mai, secondo te, questa antipatia nei confronti del Partito Radicale da parte di numerosi stati pseudo-democratici?
A differenza delle organizzazione non-governative, il Partito Radicale è un soggetto politico che ha fatto dell’affermazione e del rispetto dello Stato di Diritto la propria ragione d’azione a livello nazionale e internazionale. Lo slogan coniato da Pannella oltre 30 anni fa “la vita del diritto per il diritto alla vita” resta tuttora pienamente valido. Purtroppo né gli stati membri né, spesso, le Nazioni Unite in quanto tali, praticano il rispetto della legalità nazionale o internazionale: violazioni dei diritti umani, persecuzioni e guerre, ma anche carestie, sono sempre frutto di questa “mancanza”. Mi pare quindi il minimo che quando uno stato membro si sente accusato, con prove, di un tali condotte “criminali” faccia di tutto per silenziare certe voci. Il Partito Radicale non ha temuto di incorrere in sanzioni per consentire il diritto di tribuna a decine di oppressi, emarginati e silenziati, altre Ong ha ritenuto più importante non rischiare il proprio status consultivo. E’ questione di convinzioni, coerenze e priorità caratteristiche proprie di una certa politica e non delle organizzazioni non-governative.
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