
Fatica ancora la legge contro l’omofobia, il cui voto finale nell’aula di Montecitorio è stato rimandato ancora una volta, con il Pdl che pone una sorta di ricatto sul governo di larghe intese per non far passare l’aggravante del reato di omofobia e transfobia. E anche ieri i deputati del Movimento Cinque stelle hanno attaccato in aula la presidente della Camera, Laura Boldrini, chiedendone le dimissioni. Tanto che il presidente Napolitano, che ieri sera ha ricevuto i due presidenti delle Camere al Quirinale, ha espresso la sua «solidarietà alla presidente Boldrini per la campagna di gravi e perfino turpi ingiurie e minacce condotta nei suoi confronti sulla rete», ha detto il Capo dello Stato, «si tratta di attacchi inammissibili, che non possono essere tollerati, ai principi della convivenza democratica e al rispetto dovuto alla dignità della persona», ha scritto in un comunicato che richiama al rispetto delle regole e della «civile convivenza». I Cinque Stelle hanno attaccato la presidente accusandola di «non essere imparziale» per un suo commento che, per altro, non era schierato per l’una o l’altra parte. Il capogruppo 5 stelle Nuti era contrario a un rinvio di poche ore del dibattito in aula (comunque era stato respinta la proposta leghista di rinvio del testo in commissione), temendo intese segrete fra la maggioranza: «Se non ci sono accordi tra i partiti si discute in aula, questa è la casa della buona politica, non rinviare in una stanza facendo sì che qualcuno si accordi nella totale oscurità», ha detto Nuti. E Boldrini ha replicato così: «Onorevole Nuti, l’assemblea ha deciso e nella casa della buona politica è l’assemblea che decide». A quel punto il pentastellato Iannuzzi ha calcato la mano: «Presidente, se non riesce ad essere imparziale, si dimetta». Gli altri poi hanno corretto il tiro: mai chieste le dimissioni.
Tutti gli altri gruppi hanno espresso solidarietà a Laura Boldrini, dal Pd a Sel si accusano i grillini di sollevare polemiche «faziose e strumentali», la difendono anche le pidielline Carfagna e Roccella. Ieri i 5 stelle indossavano un simbolico bocciolo per ricordare i fiori che portavano i deputati inglesi quando hanno approvato la legge sul matrimonio gay. Ma l’ennesimo blocco è dovuto all’impuntatura del Pdl, contrario a inserire nella legge Mancino le «aggravanti» dei reati di «omofobia e transfobia». Al punto che Antonio Leone si è dimesso (invitato poi dalla pd Donatella Ferranti a tornare sui suoi passi ma invano) e Fabrizio Cicchitto, nella giornata in cui si attendeva il voto in giunta sulla decadenza di Berlusconi e il famoso videomessaggio, ha mandato avvertimenti: «Il Pd non può pensare che le intese realizzate sulle varie questioni a livello di governo possano essere poi forzate e stravolte in aula con l’approvazione di emendamenti non concordati e non condivisi con il Pdl». Scalfarotto, Pd, altro relatore, ha chiesto l’inversione dell’ordine del giorno per cercare un punto di condivisione, ma Sel se la prende con il Pd. E la Lega chiederà il voto segreto.
© 2013 L'Unità. Tutti i diritti riservati