
08/04/11
Secolo d'Italia
Ciò che colpisce nel dibattito politico in Italia, in particolare per come si è andato svolgendo negli ultimi anni, è il fatto che tutto è tranne che un dibattito. Si ha la sensazione e l'impressione di assistere semmai a un dialogo tra sordi che proprio per questo parlano a voce alta, e anzi spesso urlano. Un dibattito, anche aspro e polemico, presuppone un riconoscimento reciproco delle parti. Per fare la guerra - anche la vera guerra - ho bisogno di conoscere e riconoscere il mio nemico in quanto tale. Nel dibattito italiano questo principio elementare del conflitto (bellico, politico, sociale) sembra ormai mancare del tutto, sicché il teatro della politica non è più il teatrino dell'antipolitica, ma il teatro "dell'assurdo", certo senza un autore come Eugène Ionesco.
C'è da rimpiangere le provocazioni dei radicali, quando si presentavano in televisione imbavagliati. Pannella ce l'aveva col regime della partitocrazia, ma l'uno e l'altro si riconoscevano come nemici e qualche volta si prendevano a schiaffi (come accadde a Marco col guardaporte di Botteghe Oscure), sonori e concreti, ma anche quando solo verbali lasciavano pure il segno. Chi ricorda più, secoli or sono, l'ineffabile Giancarlo Pajetta prendere a schiaffi (metaforici, ma quanto pesanti!) il giornalista Mangione a Tribuna politica? Oggi quel che domina non è lo schiaffo (né futurista né proletario), ma l'insulto reciproco che oramai nessuno comprende più: vergogna! Il punto è che nessuno si vergogna più di nulla, perché non ha nessuno dinanzi a sé col quale vergognarsi. È paradossale che il conflitto politico, in Italia, sia del tutto scomparso, sostituito dallo sproloquio sul Cavaliere di Arcore: l'uomo del fare, il perseguitato, il fenomeno: oppure il farabutto, il mafioso, lo sfruttatore di minorenni.
Credo che in nessun paese al mondo esista una situazione analoga, dagli Stati Uniti d'America al Nepal sino al Congo che una volta si chiamava belga. Ma quel che terrorizza è che in una situazione del genere, che di fatto lascia quel poco di governo che è rimasto (buono o cattivo che sia) nelle mani della Lega Nord, gli italiani, in grande maggioranza, non fanno sentire la loro voce per dire non più: "dimettiti" a Silvio Berlusconi (perché dovrebbe? Gode ancora di una maggioranza parlamentare) o "resisti" (contro chi? Contro lo Stato italiano che ha giurato di servire?), ma semplicemente un sonoro: "basta!". Ma non tanto per Silvio Berlusconi, quanto per tutti coloro che ne fanno il codazzo, per i sempre pronti all'ossequio o alla "trovata intelligente" (la prescrizione accorciata per gli incensurati, per esempio), per tutte le signore che trovano "divine" le sue barzellette da osteria, per tutti i proni e le prone che lo circondano. Ma anche per tutti coloro che sognano di vederlo in galera, semmai spogliato di ogni bene e di ogni proprietà, vecchio, pelato e sdentato, che contro di lui - oggettivamente - spesso praticano solo il vizio dell'invidia.
Di politico in tutto questo non c'è nulla e quando tutto sarà finito (è crollata l'Unione Sovietica, volete che non crolli l'ex imprenditore Berlusconi e con lui il suo alter ego, l'ex piemme Tonino Di Pietro?) resterà certo un cumulo di macerie, ma, purtroppo, di macerie innanzi tutto morali, prima che civili o economiche. Il comunismo ha fatto milioni di morti e creato tanta miseria specie morale (leggete il bel libro di Serena Vitale, A Mosca a Mosca., ma sopra tutto ha creato davvero l'uomo nuovo: un essere senza principi, senza speranza, pronto a tutto, senza dignità, in vendita per qualche copeco. Temo che il maggior danno dell'epoca berlusconiana sarà anche qui un disastro morale, prima che politico, un esercito di senza volto ma ridenti o sogghignanti dinanzi al dio denaro. Per questo insisto: finiamola con l'antiberlusconismo. Voltiamo la pagina peggiore della storia di questa Repubblica, da Tangentopoli al processo Ruby e cominciamo a fare un esame di coscienza, senza Berlusconi, Minetti, Ruby e via dicendo, ma anche senza tutti quelli che scambiano la politica per un'aula giudiziaria dove imperi la "virtù" di Robespierre: il terrore.
Torniamo allora finalmente alla politica, quella vera, inventiamone anche una nuova, la quale faccia entrare un po' d'aria fresca in quest'Italia alla deriva civile e sociale. Oltre la destra e la sinistra (e anche il feticcio del centro), con concetti, categorie, imperativi e uomini nuovi. Con uno sforzo intellettuale adeguato al momento, che è drammatico e potrebbe diventare tragico per tanti giovani senza futuro. Un paese come l'Italia merita qualcosa di più.
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