
03/11/10
Giorno/Resto/Nazione
Renzi vuole rottamare Bersani (ma anche D’Alema e Veltroni), Fini vuole rottamare Berlusconi (ma anche La Russa e Gasparri). Pd e Pdl sono dunque alle prese con un tema epocale: quello del ricambio delle classi dirigenti. Problema annoso, se già ai primi del secolo scorso il politologo Roberto Michels formulò la ‘legge ferrea dell’oligarchia’, denunciando il fatto che la concentrazione del potere politico nelle mani di un ristretto gruppo impedisce nuovi ingressi nella stanza dei bottoni e allontana chi vi si è chiuso dentro da iscritti ed elettori.
Una rapida panoramica può servire a prender coscienza della realtà. Il settantaquattrenne Berlusconi guida il Pdl da due anni dopo essere stato per quasi tre lustri l’indiscusso ed indiscutibile capo di FI. Delfini zero, dopo di lui il diluvio. E se non fosse per la presenza degli ex colonnelli di An, gli stessi del vecchio Msi, la classe dirigente del suo partito continuerebbe a passare dalla luce all’ombra sulla base dei soli umori del Capo. Nei partiti carismatici funziona così. E infatti funziona così anche nell’Idv di Antonio Di Pietro, che nei suoi 12 anni di vita ha cambiato tutto tranne il leader.
Nel centrodestra, il nuovo che avanza ha le sembianze di Gianfranco Fini. Un usato ben tenuto dal momento che, a parte la breve parentesi della segreteria Rauti, guida la destra italiana sin dal lontano 1987: 23 anni filati. Un record. Un po’ più al centro, troviamo l’Udc, partito così saldamente nelle mani di Casini da potersi permettere la civetteria di un segretario diverso, Lorenzo Cesa. L’Udc nasce nel 2002 dalla fusione del Ccd (anno di fondazione, 1994) di Casini con il Cdu (1995) di Buttiglione, e sempre nelle mani di Casini e Buttiglione si trova. Del resto, la Lega Nord (dove il problema della successione esiste, ma cova sotto la cenere) è nelle mani del sessantanovenne Umberto Bossi da ben ventun’anni. A sinistra l’unico fattore di novità è Nichi Vendola. Il cui carisma e la cui poetica lo fanno sembrare più nuovo (nel 1985 era già tra i dirigenti nazionali della Fgci) e più giovane (ha 52 anni) di quanto non sia. Venendo al Pd, il fatto che nei suoi tre anni di vita abbia cambiato tre segretari difficilmente può essere considerato un segno di salute. Il ceppo portante è quello diessino, gli uomini forti Massimo D’Alema e Walter Veltroni. Ovvero, gli eterni duellanti: volendo tacere dei tempi del Pci, sono alla guida della sinistra italiana sin dagli albori della Seconda repubblica. Unico dato di novità dell’ultimo periodo, il ricambio non dell’etichetta col nome ma del barattolo. Un tempo, quando i partiti erano fondati su una storia e una cultura politiche, chi si trovava in minoranza generalmente dava battaglia dall’interno: oggi manda tutti a quel paese e fonda un nuovo partito. Anche in politica, è l’epoca dell’usa e getta. Ed è per questo che si stringe il cuore a constatare l’avvenuta scomparsa (politica, s’intende) del leader dello Sdi Boselli e di quello dei Verdi Pecoraro Scanio: un’ingiustizia, visti i tempi.
Intendiamoci, quello del ricambio delle classi dirigenti è problema universale, ma in Italia è più grave che altrove. Per almeno due motivi. Il primo è che la mancanza di una riforma protestante e l’egemonia della cultura cattolica e socialista hanno tenuto lontano dal nostro carattere nazionale l’idea stessa di responsabilità individuale. Il leader che perde, dunque, non è costretto al ritiro e quasi sempre si ricandida. Il secondo motivo riguarda i presidenti del Consiglio. Nei paesi anglosassoni quando perdono il governo perdono tutto, ma possono far soldi scrivendo le loro memorie o riconvertendosi come lobbisti internazionali. Scelte precluse ai nostri premier, contando assai poco la politica in Italia e l’Italia nel mondo.
Era il 1976 quando il democristiano Bisaglia vedeva nella «chiamata del Padreterno» la sola strada per rinnovare la Dc. Da allora, però, la scienza medica ha fatto passi da gigante e si campa più a lungo. Si può dunque sperare solo uno tsunami tipo Mani Pulite, ma, francamente, non c’è da augurarselo.
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