
Darò una notizia letale alle mie colleghe Patrizia Toia e Silvia Costa, che il 17 marzo scorso su questo giornale hanno scritto un articolo per spiegare il loro no alle nozze gay. La notizia è la seguente: noi omosessuali siamo tutti “nati cresciuti e pasciuti” in famiglie eterosessuali. Do questa informazione alle due europarlamentari, che si sono fatte una domanda. Si sono infatti chieste se legittimare il matrimonio omosessuale non possa provocare (addirittura) nei bambini che crescono in quel tipo di famiglia una «mutazione antropologica e un indebolimento della costruzione della loro identità sessuale».
Care colleghe, come si spiegherebbe il fatto che noi cresciuti all’interno di matrimoni eterosessuali siamo omosessuali? Ovviamente non si spiega perché non è l’orientamento sessuale del genitore a determinare quello dei figli. E non lo dicono le “lobby gay” bensì la ricerca internazionale, che studia ormai da trent’anni i bambini cresciuti con genitori dello stesso sesso per capire se ciò possa in qualche modo influire sul loro equilibrio. Concordano tutte le ricerche sul tema e tutti gli ordini di psicologi e pedo-psichiatri occidentali. Anche l’Aip, Associazione italiana di psicologia, dichiara nel 2011 che «le affermazioni secondo cui i bambini, per crescere bene, avrebbero bisogno di una madre e di un padre, non trovano riscontro nella ricerca internazionale sul rapporto fra relazioni familiari e sviluppo psicosociale degli individui».
Aggiungendo ancora: «In particolare, la ricerca psicologica ha messo in evidenza che ciò che è importante per il benessere dei bambini è la qualità dell’ambiente familiare che i genitori forniscono loro, indipendentemente dal fatto che essi siano conviventi, separati, risposati, single, dello stesso sesso». E con questo si può archiviare, mi auguro, sul piano scientifico (giammai su quello ideologico) lo spauracchio sollevato strumentalmente ogni volta che si parla di matrimoni tra persone dello stesso sesso e relazioni genitoriali. E a nome di Giuseppina La Delfa invito le colleghe al Congresso nazionale delle famiglie arcobaleno di Bologna a giugno: parlino con quei bambini che non sono marziani, ma bambini senza diritti.
Tornando a bomba: è legittimo che nel nostro paese si approvi una legge che riconosca le famiglie omosessuali come detentrici del «diritto alla vita familiare»? Pare evidente che la Suprema corte dia una risposta affermativa. La Cassazione si spinge oltre il pronunciamento della Corte costituzionale, affermando che «non si dimostra più adeguata alla attuale realtà giuridica, essendo stata radicalmente superata, la concezione secondo cui la diversità di sesso dei nubendi è presupposto indispensabile, per così dire naturalistico, della stessa esistenza del matrimonio».
Tengo a precisare che le due mie colleghe fanno confusione tra la sentenza della Corte costituzionale 138/2010 e la 4184 del 15/3/2012 della Cassazione. Vabbé, giustificate, sono in Europa, non sanno quello che succede in Italia. Se avessero chiesto avrei potuto renderle edotte. In questo quadro nazionale e internazionale incalzante (Strasburgo il 13 marzo si è espressa con un voto respingendo un emendamento che voleva dare una definizione restrittiva di famiglia) che le colleghe evidentemente fanno fatica a cogliere, è del tutto ovvio che le istituzioni italiane e i partiti hanno il dovere di affrontare il tema delle unioni tra persone dello stesso e soprattutto risolverlo con un provvedimento legislativo.
Non si può andare contro la realtà e soprattutto contro lo stato di diritto troppo a lungo. Fior fior di commentatori in questi giorni (qualcuno mandi una rassegna stampa a Toia e Costa) si sono espressi favorevolmente alla approvazione di una legge sui matrimoni omosessuali. Due su tutti: Vittorio Feltri e Sergio Romano. Non esattamente due pericolosi rivoluzionari.
Finalmente nel nostro paese i conservatori cominciano ad interrogarsi. Ma ciò che conta è che il parlamento metta all’ordine del giorno della commissione Giustizia le sette proposte di legge presentate da Pd, Idv, Radicali e Pdl assegnate in commissione e silenti da quattro anni. Deve iniziare la discussione, che dovrà essere una discussione non ideologica ma concretissima perché si sta parlando di diritti fondamentali ma anche di doveri di solidarietà reciproca tra persone che si amano e vogliono costruire una vita in comune.
Non c’è niente di meno ideologico dell’amore, come non c’é niente di più conservatore (per dirla alla Cameron) del desiderio di mettere su famiglia. Che dunque Toia e Costa siano diventate delle “sfascia famiglie?”.
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