
«Non scendo in politica». Luca Cordero di Montezemolo lascia la presidenza della Fiat, ma ribadisce di non avere alcuna intenzione di impegnarsi attivamente in un progetto politico. «Se rinascerò in un’altra vita, vediamo. Per ora è così». Le ragioni le aveva ripetute già la sera prima dell’annuncio delle dimissioni dalla guida del Lingotto. In primo luogo, ha spiegato, «perché credo che nella vita uno deve cercare di fare il suo "mestiere"»; in secondo luogo, «perché ho una grandissima passione per il mestiere che faccio».
La Ferrari, prima di tutto, di cui resterà presidente e di cui, assicura, «potrò tornare a occuparmi di più». Senza dimenticare, poi, «la grande avventura imprenditoriale che mi affascina e impegna molto»: il treno «italo», livrea rosso Ferrari, che, con una strizzata d’occhio a italianità e web, nel 2011 lancerà la sfida del primo privato sui binari ad alta velocità. Oltre alla presidenza della Ferrari, Montezemolo resterà nel Cda della Fiat e in Rcs.
Tra le previsioni sul suo futuro, che hanno tenuto banco ieri alla Camera in Transatlantico più dello scontro Fini-Berlusconí, c’è anche l’ipotesi della presidenza del gruppo a capo del quotidiano di via Solferino. In ogni caso, nonostante le chiare smentite dello stesso Montezemolo, a fare discutere maggiormente, in particolare nella variegata galassia centrista, resta la possibilità di una sua discesa in campo nell’arena politica. Udc, Api, Casini e Rutelli, lo hanno corteggiato in passato e continuano a considerare lui e il suo think tank "Italia futura" come importanti punti di riferimento.
Montezemolo, come emerso tempo fa da un sondaggio dell’Espresso, resta il candidato alla presidenza del Consiglio in grado di battere Berlusconi. Ad aggiungere ulteriore pepe è la coincidenza tra la fine del mandato di Montezemolo alla presidenza della Fiat e le vicende che coinvolgono Gianfranco Fini. Tutti restano comunque prudenti. Mentre Pier Ferdinando Casini resta in silenzio, per Francesco Rutelli «è troppo presto per dipingere nuovi scenari politici». A "chiamare" in qualche modo «l’amico» Montezemolo a un impegno in politica è Massimo Calearo, ex leader di Federmeccanica e co-fondatore
dell’Api. «Ero in Confindustria con lui quando gli chiesero di traghettare la Fiat in un momento storico di grande difficoltà. Adesso che l’azienda é risanata, dovremo riuscire a traghettare il paese fuori dalle secche della crisi puntando sul lavoro e la lotta all’evasione fiscale».
Meno convinto del collega dell’Api è Bruno Tabacci. «Ma di cosa si discute?», esordisce il leader centrista. «Montezemolo ha detto chiaro e tondo che non intende fare politica. E poi non è cambiato nulla. Resta nel Cda della Fiat, presidente della Ferrari, nel patto di sindacato dell’Rcs. Io gli ho già fatto un appello nel 2004 quando era presidente di Confindustria, adesso di appelli non gliene faccio più.
Al limite se si dovesse parlare di un progetto politico, voglio che venga a firmarlo davanti a un notaio...». Anche Enzo Bianco, presidente dei Liberal del Pd è scettico sull’ipotesi di Montezemolo in politica. «Se ne sente parlare da tempo, ogni volta pare sia la volta buona, poi fa un passo indietro». Lo stesso Montezemolo ha spiegato che quando era presidente di Confindustria aveva ricevuto pressioni importanti, «ma non avrei mai permesso che qualcuno pensasse che mi fossi servito di Confindustria per fare carriera politica». Ora, comunque, si sente più libero di potere esprimere le sue opinioni.
Il primo segnale in questo senso è stato l’editoriale di Italiafutura, che, dopo aver ironizzato sulle «sole sette ore» di dibattito della direzione del Pd ha rivendicato il copyright della proposta lanciata da Pier Luigi Bersani sul fisco, provocando la reazione del segretario del Pd che, con altrettanta ironia, ha ricordato che la proposta è talmente nuova che se ne parlò per la prima volta quando c’era ancora la lira.
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