
Il mondo politico e, in larga misura i politologi, osservano il fenomeno grillino con la visuale dei partiti tradizionali. Ciò spiega come mai dimentichino il significato di milioni di voti approdati ai 5Stelle e contemplino gli eletti raffrontandoli con i loro colleghi (delle precedenti legislature o di questa). Se un quarto dei votanti ha tracciato la croce sul simbolo grillino non è per il programma sfoderato da Beppe Grillo. Vi sono, indubbiamente, alcune centinaia di migliaia di ecologisti arrabbiati, ultrasinistri, statalisti puri, che hanno guardato ad alcuni punti del programma vicini a tradizionali posizioni della sinistra estrema e hanno finto di non vederne altri, come, per esempio, un motivo di schietta tradizione einaudiana, quale la soppressione del valore legale del titolo di studio. In assenza del M5S, costoro avrebbero votato per Nichi Vendola o Antonio Ingroia o Pier Luigi Bersani, avrebbero annullato la scheda, o sarebbero rimasti a casa.
Il comportamento di milioni e milioni di altri elettori che hanno votato Grillo, invece, è diversamente motivato, specie in coloro che sono approdati a tale scelta dopo aver votato Pdl o Lega. A costoro importava poco dei progetti del comico: interessava, invece, esprimere al mondo politico rabbia, sdegno, stanchezza. In luogo di astenersi, hanno voluto lanciare un segnale fortissimo. Più il comico offendeva i vertici dei partiti, più questi elettori sentivano che si trattava dell'unico mezzo per far capire ai dirigenti politici che sarebbe l'ora di andarsene a casa. Chi sostenne Matteo Renzi all'interno del Pd voleva liquidare l'intera classe dirigente del partito: antichi comunisti, nostalgici democristiani, naufraghi laici. Bastava la sola dizione «rottamatore» per esaltarli. Analogamente, tanta gente era stanca del Cav: i leghisti che non hanno rivotato Lega per l'alleanza stipulata con lui e il seguito rastrellato da Oscar Giannino sono due (piccoli) indici del desiderio di chiudere l'età berlusconiana. Inutile mettersi a discettare sui possibili errori che commette chi predica di cancellare le «solite facce» e vuol determinare la scomparsa di uomini, partiti, programmi. Lo stato d'animo era ben più diffuso di quanto fossero gli avvertimenti giunti in passato, per esempio nel corso delle prime affermazioni della Lega o in qualche successo dei radicali. Milioni di votanti hanno così espresso un sentimento contro, non un voto per. Sapevano già prima qual razza d'improvvisatori faciloni, e forse pericolosi, fossero gli eletti grillini, ma non importava loro, perché li consideravano migliori di coloro che da cinque, dieci, venti o trent'anni ci governano.
Del resto, per rifarsi a un esempio del passato, possiamo ricordare Enzo Bettiza, intellettuale con una puzza al naso come pochi altri, che rivelò di aver votato per Umberto Bossi, politico umanamente ai suoi antipodi. I politici, però, non sembrano capire l'avviso Sviste del genere sono abituali, anche per ovvie esigenze di auto-mantenimento. Capitarono pure di fronte a qualche successo della Lega: lo lessero come se si fosse trattato di una ripetizione, nell'intera valle del Po, di qualche pallida affermazione ottenuta in quel di Udine dal Movimento Friuli. Allo stesso modo deputati e senatori guardano i nuovi colleghi col proprio metro. Dimenticano che non pochi, fra i leghisti come fra gli stessi forzisti, erano altrettanto sprovveduti al momento dell'elezione. Gli analisti, similmente, non capiscono che questa gente arrivata a palazzo Madama o a Montecitorio senza forse nemmeno distinguere l'un palazzo dall'altro, fino a ieri ragionava di politica come si fa discutendo tra conoscenti al bar o scambiando due chiacchiere sui mezzi pubblici. Più irridono le loro ingenuità, le loro sparate, le loro turlupinature, le loro minacce, le loro ambizioni, meno dimostrano di capire che cosa volevano gli elettori che hanno mandato a Roma personaggi del genere: volevano rivoltare il mondo politico, intimando alla classe dirigente di farsi da parte e di cambiare persone e politica.
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