
La tregua estiva è agli sgoccioli. I mercati ricominciano ad alzare il prezzo. Non sembrano disposti a concedere all'Europa altro tempo per decidersi ad agire passando dalle parole ai fatti. Alla costruzione effettiva di quelle barriere anti-incendio di cui si disserta da giugno e per le quali la Bce di Mario Draghi ha già fatto la sua parte al contrario dei Governi. I quali continuano a latitare (e litigare) nell'illusione che, facendo melina e serrando al contempo la morsa del rigore e delle riforme, i problemi decanteranno da soli.
Angela Merkel potrà provare a vincere in pace le elezioni del settembre 2013 magari senza di dover di nuovo battere cassa al Bundestag in favore dei partner in difficoltà.
Da qualche settimana la manovra è chiara ma è sempre meno sicuro che riesca. Più che da Atene, l'allarme parte da Madrid, una partita molto più grossa dove si mescolano tante ipocrisie e contraddizioni europee. Standard &Poor's ha degradato a «quasi spazzatura» i titoli di Stato spagnoli. A fine mese Moody's potrebbe fare lo stesso. I mercati hanno reagito con gli spread in altalena. Riparte il contagio approfondendo ulteriormente la frattura tra euro del nord e euro del sud?
C'è chi accusa Mariano Rajoy di tirare troppo per le lunghe sulla richiesta di aiuti, trascinando di nuovo l'area sull'orlo del baratro. Il premier spagnolo replica che non intende farlo fino a che non saranno chiare le condizioni. Difficile dargli torto. L'unione bancaria continua a segnare il passo sotto il peso delle riluttanze nordiche ma soprattutto tedesche.
L'operatività dell'Esm, quindi anche la ricapitalizzazione diretta delle banche, restano appese a regole ancora da definire. E all'entrata in vigore del nuovo sistema di vigilanza unica sugli istituti di credito da affidare alla Bce: dovrebbe scattare il 1 gennaio ma potrebbe slittare fino a settembre, al dopo elezioni in Germania, perché l'argomento è ostico per i tedeschi e la loro pubblica opinione. Anche Olanda e Finlandia frenano senza complessi.
Anche se l'Esm dovesse restare per mesi in frigorifero, i paesi in difficoltà potrebbero sempre ricorrere al fondo attuale, l'Efsf. Ma proprio qui sta il grande punto di attrito Nord-Sud. Gli aiuti via Efsf, sempre super-condizionati, appesantirebbero il debito dei beneficiari che ne sono già pesantemente schiacciati. Quelli via Esm invece no.
Per questo la Spagna, al quinto piano di austerità in meno di 12 mesi, cerca fin che può di evitare di farsi avanti. E alla Merkel non spiace la politica dilatoria di Rajoy perché non la costringe a tornare davanti al Bundestag per l'autorizzazione di nuovi aiuti. Se proprio necessario, opterebbe per un pacchetto onnicomprensivo a favore di Spagna, Grecia e Cipro da far approvare in un colpo solo, eventualmente verso fine novembre.
Tutto questo tergiversare, che blocca i bazooka della Bce e rallenta la costruzione di un nuovo Governo efficace dell'eurozona, comincia a innervosire di nuovo i mercati e a irritare i partner globali.
Tutti lamentano l'inconcludenza europea, i confusi stop and go che, dopo annunci roboanti, regolarmente fanno arenare le decisioni nei meandri di ripensamenti e opportunismi nazionali che perpetuano all'infinito l'instabilità dell'euro. Senza contare che tutti ormai concordano sui disastri che una cieca politica di rigore senza remissione sta provocando sulle economie che la subiscono, con danni tripli rispetto alle previsioni originarie secondo gli ultimi calcoli Fmi.
«Bisogna concedere più tempo a Spagna, Grecia e Portogallo per ridurre i rispettivi deficit, perché troppi tagli a ritmi troppo veloci farebbero più male che bene» avverte da Tokyo Christine Lagarde, il direttore generale del Fmi. Niente da fare con Wolfgang Schäuble, il ministro tedesco delle Finanze: «Quando si fissa un obiettivo di medio termine, certo non si crea fiducia andando in una direzione diversa. Se si vuole salire una montagna alta ma si comincia scendendo, la montagna diventa ancora più alta» .
Chiuso l'argomento. Come è chiuso quello sulla crescita, che deve basarsi tutta su risanamento dei conti, riforme e recupero di competitività e solo in modo simbolico su un'azione europea. Come è appena stato chiuso, sempre per il no della Germania ansiosa di primeggiarvi, il progetto di fusione tra Eads e Bae: avrebbe dato vita al numero uno mondiale dell'aeronautica civile e militare, un colosso europeo capace di dare filo da torcere a Boeing e domani alla Cina. Sarebbe stato il braccio industriale dell'Europa della difesa, ancora una volta affondata prima di nascere.
Ma davvero Berlino ha sempre ragione? La crisi continua, i dubbi si accumulano dovunque. Sempre meno a torto.
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