
Sir Philip Craven, il presidente del comitato paralimpico internazionale, ha suggerito di abbandonare la parola «disabile». Alessandro Cannavò, sul Corriere della Sera, ha invitato tutti a provarci, visto che ormai siamo quasi riusciti a eliminare due orrendi modi di definire le persone in difficoltà: «spastico» e «handicappato». Personalmente, se qualcuno mi desse dell'handicappata lo manderei subito al diavolo e, tutto sommato, anche «disabile» non mi piace un granché. In fondo, a pensarci bene, disabilità e abilità abitano entrambe in ognuno di noi: per esempio, Luca Coscioni non riusciva a muovere un muscolo ma il suo cervello era potente come le gambe di Bolt; altri, fisicamente superdotati, non hanno nemmeno un neurone che si aggiri nella loro testa. Per questo, come indica una convenzione Onu, bisognerebbe davvero concentrare l'attenzione sulla persona e non sulla condizione. Ed ecco che mi viene in mente, ancora una volta, Luca Coscioni, che si imbestialiva se qualcuno, parlando con lui, puntava lo sguardo sulle sue gambe invece di guardarlo negli occhi. Proviamo, dunque, ad abbandonare la parola «disabile» ma lasciamo «abilione» così com'è! Come altro definire una persona abile consapevolmente incivile, senza cadere nella volgarità? Puzzoncello?
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