
Non è cosa da affidare a un referendum popolare, il road pricing. «Quale torinese, se gli venisse chiesto di votare per mettere una tassa a tutti quelli che non sono torinesi e che ogni giorno entrano in città, avrebbe dei motivi per votare contro? », ha chiesto, facendosi portavoce di molti suoi colleghi, il consigliere Pd Giusi La Ganga. E così, con questo ragionamento, la Sala Rossa ha affossato ieri mattina la proposta di referendum sul pedaggio in entrata in città presentata a nome dei Radicali dal consigliere Silvio Viale.
Semmai — è il ragionamento che ieri si sentiva ripetere a Palazzo Civico — se proprio si volesse mettere un pedaggio che serva da tassa di scopo per pagare la seconda linea della metropolitana, dovrebbe essere la giunta comunale a formulare una sua proposta, che sia fattibile e che non colpisca gli abitanti della prima cintura: «Del resto sul road pricing il Pd ha già manifestato la sua disponibilità a discuterne e a introdurlo», ha chiarito il capogruppo democratico Michele Paolino, annunciando che si sarebbe votato contro l’indizione del referendum. Il problema è «l’assessore Lubatti, che dovrebbe — ha attaccato Paolino — darsi una mossa». Non a caso, infatti, il clima in aula, teso e contrapposto al momento di bocciare la proposta della Lega di un referendum sui campi nomadi, ha trovato un largo consenso quando si è trattato di far piovere critiche nei confronti dell’assessore ai Trasporti, accusato di «immobilismo». Del resto, hanno fatto notare in molti, lo studio condotto qualche mese fa sul pedaggio in entrata, che potrebbe far incassare fino a 150 milioni l’anno alla città, è rimasto lettera morta.
Il consiglio comunale ha anche bocciato l’altra proposta dei Radicali, quella del referendum contro il consumo di suolo. Sul tema, i democratici considerano la città già avanti e con un piano regolatore molto restrittivo.
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