
Non si potrà ricorrere all'arbitrato in caso di licenziamento. Lo prevede un avviso comune siglato ieri dal sindacato - Cgil esclusa - e dalla Confindustria. Al momento dell'assunzione, quindi, il lavoratore dovrà sempre scegliere se, per dirimere le cause di lavoro, vorrà affidarsi a terzi evitando il processo o presentarsi davanti al giudice, ma l'alternativa non varrà per le cause di licenziamento. La soluzione trovata dovrebbe servire a dipanare i sospetti che tale norma sia stata fatta apposta per scardinare l'articolo 18. Ma perla Cgil così non è: sia la legge che lo prevede, che l'avviso comune che lo applica sono anticostituzionali.
La spaccaturafra le tre sigle si fa dunque sempre più profonda e lo sciopero proclamato per oggi dalla sola Cgil ne è una evidente dimostrazione. Bonanni, leader della Cisl, ritiene che con l'avviso comune «si sia sgonfiato il pallone gonfiato da chi ha fatto intendere che volesse manomettere l'articolo 18» e si sia creata invece «la condizione per accelerare la soluzione delle controversie». Epifani, al contrario, è convinto che la via d'uscita trovata sia inaccettabile. «L'articolo 24 della Costituzione riconosce il diritto ad ogni cittadino di ricorrere al giudice per difendere i propri diritti - ha detto il segretario della Cisl aveva affermato che non avrebbe acconsentito ad alcun ricatto nei confronti dei lavoratori al momento dell'assunzione: ma il senso dell'intesa sottoscritta è esattamente questo. Così si dividono ancora di più le strade fra i sindacati e tutto questo rafforza le ragioni del nostro sciopero». «Non ci faremo mettere i piedi in testa - precisa Epifani - mi vergognerei di stare in un sindacato che può tollerare che i più giovani siano costretti ad accettare l'arbitrato e altri abbiano le tutele tradizionali, e in cui i diritti degli iscritti vengano dimezzati».
L'avviso comune cui aderiscono, oltre alla Uil, Confindustria, Confcommercio, Confesercenti, sarà quindi al centro dello sciopero Cgil di oggi, assieme alla richiesta di una ridistribuzione del carico fiscale, di una politica industriale, di interventi per i migranti e di una maggiore tutela per chi perde il posto. Ma proprio sull'allungamento di sei mesi della cassa integrazione si gioca un altro duro scontro. La commissione Lavoro della Camera l'aveva votata bipartisan, il ministro Sacconi l'aveva affossata, la Ragioneria dello Stato aveva detto che mancavano i soldi. Ieri i tecnici della Camera sono ritornati sull'argomento: la copertura è più che sufficiente. Ora la norma è in stand by: Montecitorio, prima di procedere, ha chiesto una relazione tecnica sui suoi effetti finanziari. Giuliano Cazzola, relatore Pdl del testo, così sintetizza la situazione: «Non ci ha guadagnato nessuno. La Commissione è stata sconfessata dal ministro, il quale, a sua volta, è stato esposto alle critiche dell'opposizione che ha avuto buon gioco aevidenziare i problemi tra la maggioranza e il governo».
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