
«Per finire questo storico conflitto le due parti devono essere storicamente audaci». Il conflitto fra israeliani e palestinesi è pieno di bei discorsi: quelli di Clinton, di Obama. Perfino George Bush è riuscito a farne qualcuno di buono quaggiù. Ora c'è anche il discorso di Joe Biden, senza che di concreto nulla riesca a cambiare.
Fresco di figuraccia il vicepresidente americano ha parlato ieri a dignitari e studenti dell'Università di Tel Aviv, di tradizioni liberal, come se nulla fosse accaduto; come se sotto traccia la diplomazia Usa e il governo israeliano-non avessero vissuto momenti molto difficili. La crisi era iniziata dopo che il ministro ultraortodosso degli Interni e leader del partito religioso Shas, Eli Yishay, aveva annunciato la costruzione di 1.6oo nuove case per ebrei nella Gerusalemme Est che dovrebbe invece essere araba e un giorno, forse, capitale di uno stato palestinese.
Il bel discorso di Biden non nasconde agli israeliani le difficoltà delle loro ambizioni: «Le realtà demografiche rendono difficile per Israele essere una patria degli ebrei e un paese democratico. Lo status quo non è sostenibile». Posto che il processo di pace si rimetta mai in moto, Israele rivendica che si riconosca la natura ebraica dello stato: il 2o% - crescente - della sua popolazione però è arabo. Diventerebbero cittadini di serie B.
Ma, riguardo allo scontro sulle case di Gerusalemme, Biden ha incassato come se niente fosse successo, minimizzando: i lavori di costruzione non partiranno subito - ha detto - i negoziatori avranno tempo di risolvere la questione. Bibi Netanyahu in effetti si era formalmente e pubblicamente scusato con lui per il «momento inopportuno» dell'annuncio e aveva accusato Yishai di «insensibilità di primo livello». Le scuse di Netanyahu, tuttavia, riguardano la tempistica non il piano di costruzione di quel progetto e di molti altri: le case che aspettano già in fase esecutiva e che attendono di essere approvate in tutta Gerusalemme Est, non sono 1.6oo ma 7.038, secondo gli israeliani di Peace Now. L'ebraicizzazione dell'intera città non è negoziabile per Israele. Per la comunità internazionale, dunque si suppone anche per il vicepresidente Usa, il problema invece sono le case, non quando verranno costruite.
Fatto il suo bel discorso, Biden è partito senza aver raggiunto l'obiettivo minimo di riportare i nemici a un negoziato indiretto. I palestinesi, che invece restano, sono stati chiari: «Vogliamo sentire da George Mitchell che Israele ha cancellato la decisione di costruire le case prima che incomincino i negoziati», dice Saeb Erekat, il negoziatore capo palestinese. Mitchell è l'inviato speciale di Obama. Amr Moussa, il segretario della Lega Araba che aveva spinto l'organizzazione a convincere i palestinesi a tornare al negoziato, ora è ancora più duro di Erekat: si vada al Consiglio di sicurezza Onu. Poco prima di partire Biden aveva garantito che gli Usa «non hanno un amico migliore di Israele». Chissà il peggiore.
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