
L’ultimo segnale dalle catacombe è arrivato il 30 agosto. Mezz’ora di «battitura» delle sbarre, nelle celle di tutta Italia, organizzata dai radicalie da un movimento di giuristi e intellettuali tra i quali spicca quel professor Andrea Pugiotto che ieri era al Quirinale. I morti viventi, come li chiama qualcuno, hanno protestato così, pacificamente. Per le condizioni disumane in cui sono costretti a vivere, per il caldo insopportabile che d’estate li obbliga a dormire per terra, per l’affollamento nelle celle che impone di restare sdraiati in branda perché tutti in piedi non ci stanno. Vivono così. Muoiono così. Perché qualcuno preferisce andarsene in fretta piuttosto che subire una lenta agonia. Novantasette suicidi dall’inizio dell’anno tra i detenuti. Qualcuno anche tra i secondini; perché l’inferno che vedi negli occhi degli altri alla fine ti entra dentro.
E’ questa l’apocalisse che Paola Severino ha trovato quando si è insediata in via Arenula. E’ arrivata con il vantaggio di conoscerla bene; perchè fa parte di quella schiera eletta di docenti universitari che nel girone infernale ci portano i neolaureati, futuri avvocati e futuri magistrati. Affinchè vedano. In via Arenula sapeva dove mettere le mani da subito, ma la strada era in salita e ripidissima. Non ci sono isole felici, nonostante gli ultimi provvedimenti che hanno alleggerito un pò la situazione. Ci sono sempre 66.384 detenuti in celle costruite per 43mila. Il Dap segnala che quelle stesse celle, potrebbero avere una «capienza tollerabile» di 69mila unità, ma resta da capire quale sia il concetto di tollerabilità per una società civile.
Dalla Sicilia al Valle D’Aosta i numeri sono sconfortanti: 278 detenuti nella civilissima Valle su 181 posti; e 7.281 detenuti in Sicilia contro i 5.465 posti letto. Nel Lazio c’è un picco: 7.121 reclusi e 4.839; e questa è una delle poche regioni in cui si va addirittura oltre quel concetto astratto di tollerabilità coniato dal Dap per aprire un ombrello sulle responsabilità di decenni di politica apatica.
Drammatica anche la situazione lombarda, con un rapporto di quasi due detenuti per un posto letto: 9.394 reclusi e 5.389 brandine. E anche qui siamo fuori «tollerabilità», perché il Dipartimento la fissa a 8.536 unità, quasi mille in meno. Ma il vero paradosso viene fuori dai certificati penali dei detenuti. E anche dai passaporti: perché quasi 24mila di loro sono stranieri, quasi tutti extracomunitari, e potrebbero semplicemente essere rispediti nella loro terra da subito dopo la condanna, dopo aver stipulato un trattato con il paese di provenienza. Ne resterebbero 42.667 e il problema delle carceri sarebbe risolto.
Oppure si potrebbe seguire un altro criterio, quello che il Parlamento potrebbe varare in fretta e invece giace su qualche tavolo: accorciare la detenzione per chi ha meno di tre anni da scontare e ha dimostrato in maniera concreta di poter essere riammesso alla società civile. Di detenuti con condanna definitiva che hanno meno di tre anni da scontare ce ne sono 23.372, dei quali, certamente, una buona parte potrebbe meritevole di avere una seconda possibilità di vivere.
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