
Dall'alto del Quirinale, Giorgio Napolitano fa per quel che può per riabilitare i partiti politici, ma nei piani bassi delle istituzioni il vento dell'antipolitica tira forte: c'è chi lo asseconda, chi lo sfida, chi lo sfida fingendo d'assecondarlo. Ha detto Giorgio Napolitano in mattinata, commemorando il segretario dc Zaccagnini: «I partiti e la politica non sono il regno del male... il marcio va estirpato... ma guai a fare di tutte le erbe un fascio, a demonizzare i partiti a rifiutare la politica».
Poco dopo, inneggiando alla «trasparenza», alla Camera la Lega raccoglieva le firme per impedire la rapida approvazione in sede legislativa della legge firmata da Alfano, Bersani e Casini. Le presenteranno solo oggi: ieri hanno lasciato che gli altri gruppi votassero a favore della legislativa «per far vedere chi bluffa e chi no». La legge che dispone nuovi controlli sui bilanci dei partiti seguirà dunque un iter ordinario. E arriverà in aula. E stato possibile solo perché alle 57 firme leghiste se ne sono aggiunte altre 16. C'è anche quella di Giorgio Stracquadanio, del Pdl: «La legge elude il vero problema: la dimensione e i costi della politica, e rimanda il sistema dei controlli a una legge costituzionale. Una presa in giro». Lupi e altri berlusconiani hanno cercato di fermarlo. Tentativo fallito. «Mi hanno detto che non possiamo tagliarci i finanziamenti perché il Pdl ha 31 milioni di euro di costi fissi ogni anno.
Trentuno milioni all'anno per mantenere un partito che non esiste in piena crisi economica con le aziende che chiudono e gli imprenditori che si suicidano!». Il Pdl ieri ha scelto la strada del basso profilo. Contro la Lega è insorto il Pd. Bersani: «Hanno qualcosa da nascondere, perché dare la legislativa significa che si fanno subito i controlli anche retroattivi sui bilanci». Non è così, e il sigillo apposto dai radicali (gli unici non sospettabili di sotterfugi in materia) sull'operazione leghista lo dimostra. Ma è una fase di grande nevrosi, questa, e ciascuno cerca di esibire la propria diversità. A partire dal leader di Fli, Gianfranco Fini: «Rischiamo l'implosione del sistema politico: riformare i rimborsi elettorali non basta, bisogna dimezzarli».
Eppure, Fli aveva partecipato alla riunione dei tre leader che ha steso la legge. Quella che si è conclusa con un comunicato che definiva «un errore drammatico» il taglio del finanziamento pubblico. Militanti e iscritti si sono ribellati, correggere il tiro è diventato vitale. Perciò ieri Bersani ha convocato la segreteria del Pd avanzando futuribili proposte. Ma Matteo Renzi così come la radicale Rita Bernardini gli chiedono di rinunciare ai finanziamenti tout court, mentre Arturo Parisi vorrebbe rinunciare almeno ad incassare l'ultima rata relativa alle politiche 2008. La Lega, avendo il bilancio in attivo forse grazie a Belsito, l'ha fatto. E al congresso di giugno potrebbe decidere di restituire anche parte delle rate precedenti. Pd e Pdl rischierebbero invece la bancarotta.
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