
La tradizionale inaugurazione dell'anno giudiziario si presenta oggi con caratteri particolari. C'è la protesta dell'avvocatura che considera, non senza un eccesso di enfasi, i provvedimenti di liberalizzazione della professione forense come una specie di "rottamazione della giustizia", ma anche il clima nuovo testimoniato dalla (pur lacunosa) mozione parlamentare comune tra i maggiori partiti sulla riforma della giustizia e dalle iniziative di Paola Severino sulle carceri che stanno superando positivamente l'esame assembleare. La situazione della giustizia resta gravissima, la massa dei processi arretrati rende inattendibile la giustizia penale e, nel campo civile, rappresenta un ostacolo di prima grandezza agli investimenti nel nostro paese. Dal punto di vista dei diritti dei cittadini, poi, basta vedere quante sentenze di condanna sono state inflitte ai tribunali italiani dalla Corte europea dei diritti umani, rammentate da una nota di Marco Pannella che sottolinea il vergognoso record raggiunto dalla malagiustizia nel nostro paese, per misurare la gravità della situazione. Sulle carceri, infine ma non per ultimo, se si può considerare lodevole l'attenzione e persino la denuncia della responsabile della Giustizia, non si può dimenticare che anche i provvedimenti adottati rappresentano soltanto una misura tampone temporanea e parzialissima.
Saranno molto ascoltate come sempre e, in quest'occasione più di sempre, le parole del capo dello stato, che non ha mai pronunciato nel recente passato la parola "clemenza", ma che potrebbe, nel nuovo clima politico e di fronte all'evidente emergenza carceraria, accennarvi autorevolmente. Sul versante dell'organizzazione degli uffici giudiziari, invece, sarebbe utile sviluppare in modo concreto le ipotesi di specializzazione del settore giudiziario che si occupa dei problemi delle imprese e definire in modo meno generico e demagogico la questione della"giusta causa" nei licenziamenti, che ridurrebbe in modo consistente la controversia sull'articolo 18. Una giustizia "europea", nei tempi delle procedure, nel rispetto dei diritti, nell'umanità dell'esecuzione delle pene, sembra un obiettivo irraggiungibile, ma si possono compiere passi concreti, soprattutto se si supera il blocco conservatore dell'ordine giudiziario che ha impedito per decenni di legiferare in modo efficace. Chi diceva che non si poteva riformare la giustizia finché il premier era investito da procedimenti giudiziari, ora non ha più neppure quel furbesco alibi, il danno che la malagiustizia procura alla dignità dell'Italia e alla sua economia è evidente: è il momento di un messaggio alto e forte del Quirinale che incoraggi le volontà riformatrici troppo a lungo paralizzate.
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