
Non bastasse l’alluvione, la rabbia dei cittadini, le accuse piovute (è il caso di dirlo...) sul Comune, le ironie dei consiglieri di centrodestra Giovanni Quarzo e Giordano Tredicine che gli regalano braccioli, occhialini e pinne, Ignazio Marino adesso ha un altra emergenza da risolvere. Un problema che ha un nome e un cognome: Daniela Morgante, assessore al Bilancio, autrice del gran «rifiuto» nella giunta di lunedì, quando si è alzata e se n’è andata, in disaccordo con lo stanziamento straordinario di 10 milioni per «tappare» le buche di Roma e fronteggiare i primi danni dovuti al maltempo. In Campidoglio, il sindaco viene definito «stanco, stufo di queste continue alzate di testa» e, in cuor suo, sta seriamente valutando l’ipotesi di una sostituzione. Marino, spiegano i suoi, «si sta rendendo conto che le posizioni dell’assessore sono incompatibili con l’azione di governo», e da qualche giorno il primo cittadino si guarda intorno. L’altro ieri ha visto di nuovo Giovanni Legnini, sottosegretario a Palazzo Chigi, «sogno proibito» per un ruolo in giunta fin dalla vittoria elettorale di giugno. Tra lui e Marino c’è un rapporto molto stretto, e i contatti si sono anche intensificati da quando Legnini è diventato relatore del decreto salva-Roma. Solo che, per lasciare il governo, il sottosegretario avrebbe posto due condizioni: rimanere parlamentare ed essere certo della ricandidatura. Garanzie che, oggi come oggi, nessuno può garantire.
Marino, nei giorni scorsi, ha avuto nuovi contatti con Luca Lotti, braccio destro di Matteo Renzi, per ottenere dal leader fiorentino un «aiuto» nel convincere Legnini. Ma anche i rapporti col Pd nazionale appaiono «raffreddati», dopo il j’accuse lanciato dal Radicale (ma «mariniano» di elezione) Riccardo Magi che ha scritto a Renzi per dire che «il Pd blocca il sindaco». E pure il resto del partito, sulla vicenda Morgante, non mette bocca: nè Monello Cosentino, né tantomeno Nicola Zingaretti. Marino, così, appare solo e con le mani legate. Tanto più che la Morgante vanta ottimi rapporti: viene dalla Corte dei Conti, è in sintonia col ministero dell’Economia, rappresenta una forma di «garanzia» nel seguire con rigore le procedure. Di certo, però, i rapporti con l’assessore al Bilancio non sono idilliaci. Nello staff del sindaco, la «lady di ferro dei conti» viene definita «ballerina». E, quindi, potenzialmente «a rischio». «Non ha neppure voluto firmare la memoria di giunta sui 10 milioni, proprio a marcare la distanza e chiamarsene fuori», dicono ancora i «fedelissimi» del sindaco. E non è un caso, allora, che ieri al consiglio comunale, il sindaco abbia ringraziato Zingaretti «per aver chiesto lo stato di calamità nel Lazio», più quegli assessori (Improta, Paolo Masini, Estella Marino) in prima linea negli ultimi quattro giorni e non abbia fatto menzione alla Morgante.
Il sindaco ribadisce gli interventi fatti («abbiamo sturato 25 mila caditoie, aspirato 500 milioni di litri d’acqua») e quelli da fare («stop ai condoni nelle aree a rischio: a Roma sono 3o mila pratiche, 16 mila delle quali già esaminate»), e annuncia: «Abbiamo sbloccato 60 milioni per le fognature, fermi da sette anni a causa del patto di stabilità». E ancora «un nucleo di polizia municipale anti-sciacallaggio», la richiesta di «deroga al patto di stabilità» votata dall’Assemblea Capitolina, la «gestione della piena del Tevere attraverso la diga di Corbara, con monitoraggio all’Idroscalo di Ostia». In più, Marino chiede uno sforzo supplementare alle imprese che fanno manutenzione stradale: «Chi esegue i lavori, deve garantirli per cinque anni. Altrimenti dovrà pagare di nuovo l’intervento». Gli risponde Edoardo Bianchi (Acer): «Il dissesto delle strade non è imputabile alle ditte».
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