
28/10/10
Il Riformista
C'è un avvocato italiano nel passato come nel futuro di Tareq Aziz. t Mario Lana, già braccio destro di Lelio Basso, cofondatore della Camera di Commercio italo-araba e coordinatore della Carta di Algeri sui diritti dei popoli. «Non sono innocentista come Formigoni» dice al Riformista. Ma Lana spera che «la moratoria di due anni sulle condanne a morte che ho ottenuto da Baghdad possa essere applicata per salvare la vita ad Aziz». Due giorni fa Tariq Aziz è stato condannato a morte. E malgrado l'appello l'ex numero due del regime baathista rischia di fare la fine di Saddam Hussein e di "Alì il chimico", impiccato nel 2009.
La Norimberga irachena vive tra battaglie internazionali contro la pena di morte e partite politiche locali, segnate dalla voglia di vendetta. A Baghdad Ayad Allawi e al Maliki non trovano l'accordo per formare un governo. E Tariq Aziz paga l'inimicizia di Nouri al-Maliki, leader del partito Sawa che cercò di ucciderlo nel 1980 subendo poi pesanti conseguenze. Era l'uomo del dialogo, Aziz, ma viveva con la pistola sotto il cuscino. Era personalmente innocente? «Sono stato suo consulente per i diritti umani e sono contrario alla pena di morte - spiega al Riformista l'avvocato Lana. Lo scelto di aiutare il suo legale iracheno, rifiutando di assumere direttamente l'incarico come richiedeva Aziz, perché non potrei trasferirmi a Baghdad, dove pure ho vissuto e lavorato professionalmente fin dal 1964. A differenza del governatore Formigoni, però, non sono innocentista perché Aziz non si è opposto ai misfatti commessi dal regime, e in alcuni casi ne è direttamente responsabile.
E che tipo di rapporti aveva Roberto Formigoni con l'ex ministro?
Non so se qualcuno per suo conto abbia trattato con l'Iraq per questioni economiche. Di sicuro Aziz era l'interlocutore per tutte le delegazioni estere. Forse l'endorsement innocentista del presidente della Regione Lombardia è riferito all'opposizione di Tariq Aziz all'invasione del Kuwait.
Il Vaticano in questi giorni può avere un ruolo di mediazione?
Devo alla Segreteria di Stato e al consigliere giuridico di papa Benedetto XVI se due anni fa mi sono potuto recare a Baghdad, grazie anche al coinvolgimento di giuristi statunitensi e del Pentagono. Ho così potuto discutere con Tariq Aziz per intere giornate. Un intervento diretto del Vaticano, però, sarebbe controproducente, in un quadro influenzato da guerre di religione e dalla crescente ingerenza iraniana.
Perché nel 2003 gli uomini del regime rifiutarono di andare in esilio, come proposto dai radicali italiani e dal governo francese?
Ho fatto questa domanda a Tariq Aziz la notte del suo colloquio con papa Wojtyla, alla vigilia del rientro in Iraq e della guerra che pose fine al regime. La risposta è stata netta ed emblematica della fierezza araba: «La guerra è inevitabile. Affronterò insieme al mio paese le conseguenze di questo attacco, senza abbandonarlo». Poteva rimanere in Italia o altrove con la famiglia e la moglie tedesca, e forse aveva del denaro in Svizzera, ma decise di tornare sotto le bombe e bisogna dargliene atto.
Adesso però ha una condanna a morte...
Salvare la sua vita serve a salvare anche altre vite umane in ogni parte del mondo. Posso vantarmi di avere ottenuto dal governo di Baghdad una moratoria di due anni sulle condanne a morte, e spero che questa possa essere riapplicata, ma ciò è legato alla formazione di un nuovo governo. Anche se l'attuale ministro dei Diritti Umani - una curda che conosco bene - è una persona capace, tutto il sistema giudiziario dev'essere ricostruito.
Avvocato, quanto tempo è che si occupa di Iraq?
Nel 1964 il governo iracheno - ancora democratico - mi incaricò di occuparmi di diritti umani nella regione curda ma, quando arrivò Saddam e cominciarono stragi e persecuzioni, rinunciai all'incarico. Nella prima guerra per il Kuwait sono stato interventista. Alla vigilia della seconda guerra ho però difeso con successo le ragioni della National Bank irachena contro la Bank of New York, un caso legato allo scandalo Bnl. Ma Baghdad è solo una tappa del percorso che ho fatto con Lelio Basso. Abbiamo lavorato ovunque, dal Tribunale Russell alla difesa di Dubcek per la Primavera di Praga, fino - appunto - al sostegno ai governi del terzo mondo. E nel 1998 ho lavorato alla Conferenza che ha creato il Tribunale penale internazionale. Abbiamo creato una lobby per convincere le nazioni minori ad aderire al trattato, operazione simile alla Carta di Algeri sui diritti dei popoli, per la quale ero coordinatore.
È una Carta destinata a restare tale?
No, è un modello importante per molte nazioni africane ancora prive di una vera Carta costituzionale. Il problema è sempre lo stesso: i movimenti di liberazione sono sacri, ma poi arriva il tradimento dei princìpi. Serve apertura: la Camera di Commercio italo-araba è stata un ponte per Fiat, Eni e le nostre banche, ma il libero mercato riguarda anche il sapere e il rispetto dei diritti umani.
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