
Quando le agenzie hanno battuto la notizia delle sue dimissioni dalla presidenza della Fiat, il pensiero di molti è andato subito lì: "Allora è vero. Luca Cordero di Montezemolo scende in campo in politica". E via a larghi scenari, ecco perché il gruppo Repubblica- Espresso sta tirandogli la volata come leader ideale del Pd, ecco perché Italia Futura, il suo movimento che nel giro di quindi giorni ha presentato un piano sul fisco e uno sulla riforma della sanità, perfino ecco perché Gianfranco Fini sta tirando la corda: tutto coincide, tutti i tasselli possono essere messi in fila. Un po’ allo scenario ha contribuito il diretto interessato. Che nei comunicati ufficiali- certo- ha escluso il suo ingresso in politica e ufficiosamente ha fatto circolare ancora una battuta ripetuta talvolta in pubblico: «Io in politica? Se rinascerò, in un’altra vita». Però ieri Montezemolo, pizzicato al telefono dalla tv satellitare Class-Cnbc fra un incontro istituzionale e l’altro, è sembrato assai meno netto: «Il non essere presidente della Fiat», ha spiegato, «pur considerandomi io ancora molto impegnato, mi permetterà - spero - di campare un po’ meglio e poi di potere esprimere un po’ più liberamente certe opinioni perché quando uno fa il presidente di un’azienda è tenuto a rispettare anche posizioni e opinioni». Ruolo politico? Il ruolo che sembra ritagliarsi dunque è più politico che mai.
Resterà la Ferrari, ci saranno gli investimenti del suo gruppo personale (Charme) affidato alle cure del figlio Matteo, ma Montezemolo non sembra avere intenzione di seguire più da vicino a Roma il laboratorio orafo casalingo della moglie Ludovica o di ritirarsi nella tenuta bolognese di Villa Fornarina, tanto più che la provincia ha riconosciuto quell’area come azienda faunistico-venatoria inserita nel proprio piano triennale e con le nuove norme della legge comunitaria là si rischia la caccia al cinghiale aperta tutto l’anno. La politica è una passionaccia e ormai sembra avere contagiato Montezemolo, che da quelle parti ritroveremo. Ma prima di una vera discesa in campo, bisognerà che ce ne siano davvero le condizioni e non sembrano imminenti.
Non è certo la politica a spiegare però l’abbandono del vertice Fiat. Quella sembra più una decisione in parte subita e in parte voluta dopo tanti anni perché non c’era più il clima ideale per proseguire insieme. Lo si è compreso da una certa freddezza della famiglia (sia pure con i toni e lo stile di casa Agnelli, certamente diverso da quelli utilizzati nei confronti di Montezemolo domenica scorsa da un nemico
giurato come Cesare Romiti), che già da mesi aveva scelto di rinunciare all’apporto di Montezemolo. Lo ha tenuto ai margini della dolorosa vicenda giudiziaria sulla eredità dell’Avvocato (eppure sarebbe stato assai utile), ha fatto capire anche recentemente in un’intervista di Maria Sole che era tempo di passaggio delle consegne, ha fatto intendere il divorzio nell’aria perfino con un gesto più ruvido, quello di John Elkann che ha accettato di affiancare in Confindustria quella Emma Marcegaglia non proprio nel cuore di Montezemolo. Ma anche il diretto interessato aveva i suoi motivi per scegliere. La separazione dell’auto che verrà annunciata domani renderà assai più pleonastica la carica di presidente della Fiat e consacrerà le leve vere del comando nelle mani di Sergio Marchionne. Non solo, le leve del gruppo saranno sempre meno in Italia, dove resteranno invece tutti i problemi politici causati dalle future scelte aziendali. Non proprio l’humus ideale su cui piantare le radici di una prossima esperienza politica.
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