
Luca Cordero di Montezemolo non è interessato a scendere in campo politico. Lo ha detto ieri ai giornalisti, annunciando il passaggio dello scettro Fiat dalle sue mani a quelle di John Elkann. Ha precisato che non resterà disoccupato: guiderà il suo gioiello, la Rossa di Maranello che è l’ammiraglia del «polo del lusso». Manterrà comunque un posto nel Cda Fiat, ci mancherebbe altro. Dunque, niente politica? Vedremo.
Non dipende dalla volontà di Montezemolo quanto da una serie di condizioni. Che oltre al polo del lusso l’ex presidente Fiat sia interessato al polo di centro è cosa nota. Soprattutto oggi, con lo smarcamento di Fini da Berlusconi e gli occhieggiamenti di altri frammenti centristi che recano nomi noti, come Fioroni o Rutelli. Tanto per farne altri, si potrebbero aggiungere Pisanu e magari il segretario della Cisl Bonanni. La lista potrebbe allungarsi, al centro c’è ancora tanto posto. La scelta futura di Montezemolo dipende dalla praticabilità del campo e, soprattutto, dall’indice di gradimento. In parole povere, dai sondaggi. Quelli che recentemente si è fatto fare non sarebbero entusiasmanti, ma ci sono due-tre anni di tempo per decidere, può succedere di tutto nei palazzi della politica italiana.
Nel campo del centrodestra come come in quello dell’opposizione (si fa per dire). È vero che se la politica si allontana sempre più dalle persone e dai loro problemi il voto operaio non è più una certezza per nessuno. Ma che le tute blu di Mirafiori, Termini Imerese, Melfi e Pomigliano entrino in fibrillazione all’ipotesi di poter votare per Montezemolo è altamente improbabile. Piuttosto, si interrogheranno sul futuro loro e degli stabilimenti italiani. I lavoratori si chiedono se e in che misura il cambio alla presidenza del Lingotto cambierà il loro incertissimo futuro. Difficile dare ora una risposta, ma se è vero che a guidare le scelte della Fiat, dal salvataggio allo sbarco americano, fino agli annunci di chiusura di stabilimenti, in questi anni non è stato Montezemolo ma l’irrefrenabile Sergio Marchionne, allora si può dire che per gli operai non cambierà molto.
Potrebbero sempre chiedere un’opinione ai tifosi e ai giocatori della Juventus, o ai giornalisti della Stampa, che la presidenza di John Elkann l’hanno già sperimentata sulla propria pelle. Sgombrato il campo dalla vexata quaestio della presidenza, resta il nodo del futuro della Fiat e di centinaia di migliaia di persone il cui lavoro è legato al Lingotto. Una questione ben più appassionante delle diaspore interne a una famiglia numerosa e litigiosa che da tempo, da almeno un paio di funerali, ha smesso di essere il faro del capitalismo italiano. Oggi a Torino, Marchionne presenterà il suo piano quinquennale, spiegando (speriamo) quanto di italiano e di lavoro resterà nella Fiat. Le cui azioni, ieri, sono schizzate alle stelle con l’annuncio del cambio al vertice. Ma quando mai gli interessi degli azionisti e quelli dei lavoratori sono andati d’amore e d’accordo?
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