
Alzi la mano chi sapeva che sulla bandiera del partito di destra greca Alba Dorata, 7% alle elezioni, c’è una svastica stilizzata, chi immaginava che la sinistra radicale di Syriza avrebbe conquistato 50 seggi ad Atene relegando i socialisti al terzo posto.
O vi sorprende adesso che il neo presidente francese Hollande faccia sapere di avere lavorato da ragazzo, in America, nel covo dell’americanismo bieco, un ristorante McDonald’s?
Tre partiti lacerano Europa e Stati Uniti in questa frenetica stagione elettorale 2012-2013, partita in Spagna, passata da Grecia e Francia, a novembre a Washington e l’anno venturo in Germania e Italia: Rigore, Crescita, Populismo. Il partito di chi pensa che i bilanci in equilibrio risolvano la crisi economica, quello avverso di chi punta sullo sviluppo pur a costo di qualche debito, e il terzo schieramento, indignato, restio alle riforme.
Chiamateli Syriza o Cinque Stelle, Tea Party, Occupy Wall Street, Le Pen o Mélenchon i ribelli hanno paura del futuro e nostalgia di un passato in cui welfare e crescita in Occidente erano garantiti, l’emigrazione controllata. La loro foga irriducibile mette in difficoltà il duopolio «Rigore contro Crescita» nella maratona elettorale. La bocciatura sonora di Sarkozy a Parigi, la difficoltà della cancelliera Merkel nel voto locale in Schleswig-Holstein, la sconfitta del premier conservatore inglese Cameron in 32 elezioni amministrative, l’incapacità del repubblicano Romney a staccare il pur non fortissimo presidente Obama nei sondaggi, allarmano i Rigoristi. Anche i paladini della Crescita e della spesa, dalla sconfitta dei socialisti in Spagna, all'umiliazione greca del Pasók, alla fatica dei democratici per restare alla Casa Bianca, scontentano l’opinione pubblica malmostosa.
Per questo Hollande - che ieri ha parlato per la prima volta al telefono con la Merkel di un incontro sereno da tenere subito dopo il 15 maggio - non nasconde più di avere fatto saltare hamburger sulla piastra in America. Deve rassicurare i mercati e ieri è sembrato riuscirci. Sa che ora gli slogan elettorali sul patto fiscale europeo da ridiscutere, le promesse su assunzioni nella scuola, salari minimi, baby pensioni e pareggio bilancio nel 2017 dopo 40 anni di deficit, non basteranno a governare. Mitterrand fece il socialista idealista per due anni, prima di piegarsi alla realtà. Hollande non avrà due mesi. Già ieri studiosi come Jeffrey Sachs e Dominique Moisi lo chiamavano a un mix raziocinante di Rigore e Crescita, una via che non abbia la tetragona ostinazione della Cdu tedesca, né si illuda di lastricare di spesa pubblica la ripresa (ne scrive bene su Foreign Affairs Raghuram Rajan).
La storia ha messo il turbo. Aziende che non esistevano pochi mesi fa come Instagram valgono sul mercato più del centenario New York Times , un miliardo di dollari contro 970 milioni. La guerra fredda, aperta nel 1946 e finita nel 1989, ci impose lo stesso schema per decenni, Usa contro Urss, democrazia e società aperta contro comunismo centralista. Guerre, scontri di idee e culture, passioni, non mutavano il duello plumbeo. Il nostro tempo ha un passo diverso. Una dozzina di anni fa gli Usa vivevano il boom New Economy, l’Europa sognava il sorpasso dell’euro sul dollaro, Cina e India facevano magliette e giocattoli di plastica. La crisi 2007 porta negli Usa l’angoscia del declino, in Europa l’ansia da default. Oasi invidiate Cina e India, con Russia e Brasile giudicate il futuro, crescita e antiche culture.
Peccato che oggi lo scandalo del populista Bo Xilai e le disavventure dell'avvocato dissidente cieco Chen Guangcheng grippino quello che doveva essere l’efficiente passaggio di poteri dal presidente Hu Jintao al successore Xi Jinping. Solo una volta dalla Rivoluzione di Mao la guardia è cambiata a Pechino senza violenze, appunto con Hu. L’India dei miracoli economici vede la crescita languire al 6%, quota miraggio per noi, ma insufficiente per tirare fuori dalla povertà centinaia di milioni di indiani. Tensioni militari, natalità in eccesso o insufficiente, politiche totalitarie o burocratiche, confermano che «i nuovi paesi» non saranno presto leader del nuovo mondo.
Nulla è dunque come appare. I mercati che avrebbero già dovuto condannare Hollande sono guardinghi. Semaforo verde per un programma che privilegi l’acceleratore della spesa sul freno del rigore? No, e se il neo presidente si illudesse sulla tregua in Borsa sarà, brutalmente, corretto. Gli Usa del declino creano poco lavoro, meno di quanto Obama desideri, ma almeno non si fermano da mesi. L’Europa non decide ancora che strada prendere, i tedeschi non riconoscono il bene fatto dall’euro alla loro formidabile economia, i paesi mediterranei riluttano davanti a riforme, amare ed indispensabili: è sfida finale anche per il governo Monti. Jean-Marc Ayrault, che Hollande vorrebbe primo ministro, ha detto che l’intesa con la Merkel «si farà su un compromesso in cui tutti faranno passi indietro». Cruciale la mediazione del presidente Bce Mario Draghi tra Parigi e Berlino.
Tocca ai leader, a veri leader, ritrovare equilibrio fra Rigore e Sviluppo. Devono però parlare ai cittadini con calore e onestà, ai cuori non agli algoritmi. Nei paesi sviluppati, come in quelli in via di sviluppo, leader illuminati devono guidare le opinioni pubbliche a conti seri e alla New Economy. Prezzo del fallimento è l’ascesa indignata dei populisti alla Grillo o Syriza che, davanti alla realtà, svaporerà presto lasciando nuovo disincanto. Più aspro sarà sradicare gli estremismi alla Alba Dorata in Grecia a alla Orban in Ungheria, una volta che rimetteranno le radici velenose dell’odio. Perché le riforme servono all’economia, ma anche alla democrazia.
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