
Si può forse cominciare con un ricordo. È il 19 novembre del 1998. A New York una suora, Helen Prejean, autrice del libro Dead Man Walking, e il regista Tim Robbins, che da quel libro ha tratto un film con Susan Sarandon e Sean Penn, guidano una delegazione di Nessuno tocchi Caino, consegnano al segretario generale dell’Onu di allora, Kofi Annan, un appello di Premi Nobel e personalità di rilievo mondiale a favore della moratoria delle esecuzioni e delle condanne a morte. Lo stesso giorno, l’appello - firmato tra gli altri dal Dalai Lama, Rita Levi Montalcini, Desmond Tutu, Dario Fo, Nadine Gordimer, Josè Saramago, Mario Cuomo e Emma Bonino - è pubblicato, su The International Herald Tribune e sul Corriere della Sera. Ci vorranno anni, prima che la moratoria universale della pena di morte sia ratificata dall’Assemblea Generale, 104 voti a favore, 54 i contrari, 29 gli astenuti, in una storica seduta, quella del 18 dicembre 2007. Un risultato che si deve sì all’impegno di Nessuno tocchi Caino e dei radicali, ma anche a persone come quell’esile suora, e a quel film, che raggiunge la coscienza di milioni di persone, e le costringe a pensare. Ha ormai vent’anni, quel film... Dead man walking (Uomo morto che cammina) è il grido con cui i secondini accompagnano il condannato alla sala dell’esecuzione.
E’ la storia di Matthew, accusato di stupro e duplice omicidio, è chiuso in cella, attende di sentire quelle parole terribili; chiede aiuto a suor Helen, una suora laica cattolica, che accetta non senza perplessità il difficilissimo ruolo di assistente spirituale del condannato. La suora s’impegna per il suo riscatto etico-religioso, perché, dice,«ogni persona vale più della sua peggiore azione». Poco importa, qui, sapere se Matthew (Sean Penn) sia o no colpevole (lo è, è indubitabile, le prove ci sono, alla fine lo confessa lui stesso); e solo fugacemente, a tratti, nello sguardo gelido di Matthew si coglie un barlume di umanità soffocata: forse per qualche attimo comprende l’enormità, l’atrocità di quello che ha fatto; forse è solo paura...Suor Helen, contattata attraverso una lettera, è attiva nel quartiere nero di New Orleans, ma non ha mai avuto a che fare con condannati a morte, con le loro paure e il terrore della fine imminente; e neppure con le famiglie disperate delle vittime che chiedono giustizia e vendetta, o con le famiglie dei condannati, quasi mai rassegnate a questo tipo di sentenze definitive.
Per lei è un mondo nuovo, dolente e insidioso, tacere è poco, parlare è troppo...Helen comunque accetta la sfida, avvicina Matthews, cerca di fargli conoscere dei sentimenti veri: umanità, pietà, conforto. Trascorrono insieme gli ultimi giorni di vita del ragazzo, insieme tentano la via disperata della grazia; e mentre cercano un perché, si intrecciano le scene dei crimini commessi, la pietà e la sete di vendetta si mescolano e confondono. Helen è l’unico conforto di Matthews, che alla fine sembra comprendere, anche se è troppo tardi, la macchina della giustizia deve fare il suo corso...Più che un’arringa contro la pena di morte, il film suggerisce, dimostra che le esecuzioni "legali" tendono a essere barbare e orribili come gli omicidi commessi dagli individui, e gli esempi non mancano anche oggi. Un film di forte e serio impegno civile, simbolo di una condizione frequente negli Usa; un film la cui cifra consiste nell’abilità del regista di trasmettere le diverse psicologie dei personaggi: dalla paura all’odio, dalla vendetta alla pietà, dalla speranza alla crudeltà, dalla giustizia all’incertezza che fare con condannati; e naturalmente la Saradon e Penn danno il meglio di cui sono capaci.
Non per un caso Sarandon vince l’Oscar come Mi- glior Attrice; Robbins e Penn, conquistano insieme a Bruce Springsteen, per la migliore canzone originale tre nomination all’Oscar, e altrettante nomination ai Golden Globes. Un’altra Hollywood, se si vuole, è possibile. E’ servito Dead Man Walking che qualcuno, a suo tempo, ha giudicato zuccheroso e scontato? Guardate la carta geogra- fica degli Stati Uniti d’America: gli Stati che aboliscono la pena di morte aumentano, le voci che si levano contro questa "giustizia" cre- scono...ci vorranno ancora tante suor Helen, tanti Dead Man Wal- king, ma la direzione è quella...E quel film ha "segnato", "segna". Veniamo in Italia. In una ipotetica rassegna del film di impegno civile che uno dei mille festival che si organizzano in questo Paese potrebbe organizzare (o anche una rassegna in uno dei canali Della televisione pubblica) non può mancare The Special Need, dell’udinese, trapiantato a Berlino, Carlo Zoratti. Non poteva che chiamarsi Enea, il protagonista di questo film. Enea, come il "profugo" (og- gi lo si chiamerebbe "migrante", "extracomunitario"), che fugge dopo la sconfitta, e dopo mille peripezie, approda in quel Lazio destinato com’è dal Fato, a originare Roma. L’Enea di Zoratti è a suo modo anche lui un eroe. È un ragazzo di 29 anni; come tutti cerca un’anima gemella, una persona da amare e da cui essere amato. Al- l’Enea di Zoratti però il Fato ha giocato un brutto scherzo: perché è un ragazzo autistico, e questo ovviamente rende tutto più difficile. Per aiutarlo i suoi due migliori amici, Alex e Carlo, decidono di accompagnare Enea in un viaggio attraverso l’Europa. Un viaggio che aiuterà Enea a convivere con il suo problema, ma soprattutto con- sente ad Alex e a Carlo di scoprire assai più di quello che pensavano di dover cercare, e capire quello che non hanno compreso.
Detta così la storia di Zoratti potrebbe sembrare zuccherosa, melensa. No. È invece una storia di consapevolezza che senza far ricorso a un’esplicita denuncia di quello che accade, ci rende consapevoli che di fronte a persone come ad Enea troppe volte l’atteggiamento è di banale e irritante commiserazione, un compatimento pietistico un po’ ipocrita, indifferenza e fastidio; mentre invece non ci si rende conto che di fronte abbiamo persone sì diverse (ma poi qualcuno dovrebbe ben chiarire in cosa consiste la "normalità") ma come tutte bisognose di affetto, amicizia, amore, con esigenze e necessità uguali a quelle di tutti. Così seguiamo Enea nel suo "viaggio", con dipinta in viso quell’espressione via via stupefatta, uno stupore che lascia il posto alla perplessità; e come dargli torto, se si pensa alle situazioni che man mano gli capitano. Enea reagisce nel più "normale" dei modi, limitandosi a un «Sì, sì», «No, no», che sembrano accettare, assecondare i discorsi che sente fare attorno a lui e su di lui; ma sono in realtà il modo astuto e saggio per guadagnare tempo, e infine fulminare le banalità di chi lo circonda, con battute che dimostrano come lui abbia capito, compreso, pre/visto tutto.
Il viaggio di Enea è il pretesto per partire dall’Italia, con tutti i suoi pregiudizi e arretratezze mentali, in una sorta di road movie in tutta Europa: dove pregiudizi e arretratezze mentali non sono da meno, ma almeno mitigate, bilanciate da mentalità più pragmatiche, grazie alle quali si può beneficiare di un welfare più moderno, meno insensibile e burocratico, in una parola, più umano. Il film di Zoratti ha il coraggio e l’"irresponsabilità" di adottare la stessa "leggerezza" e sensibilità acuita e disorientata di Enea; e riesce così ad affrontare un tema delicato e scivoloso evitando scontati atteggiamenti pietistici. Il suo è il racconto di un processo di crescita, che non è solo quella del protagonista. Non c’è nulla di pedagogico, in The Special Need, ma chi lo vede, impara qualcosa. Infine: si può approdare a Maria Novaro, una regista messicana che ha raggiunto una sua indubbia maturità, e proprio per questo prosegue in un interessante lavoro di scavo e di ricerca che le consentono di affrontare temi delicati e difficili con grazia e tenerezza. Prendiamo Las Buenas Hierbas, e non fatevi fuorviare, non c’entra nulla "l’erba" che si fuma. Si parte, piuttosto, da un antico codice azteco, del 1552, che parla di piante che curano l’anima, e questo concetto è la stessa polare del film.
Un film su vari piani, e che propone vari livelli di lettura. Il primo: la regia è di una donna, Maria Novaro appunto, che ha curato anche la sceneggiatura, e l’ha prodotto. Tre donne sono le interpreti principali: Dalia, separata, con un bambino da crescere; Lala, la madre che lavora all’Orto Botanico di Città del Messico (la "buona erba", appunto); e Blanquita, un’anziana vicina che convive col ricordo della nipote quindicenne scomparsa. E qui un altro livello di lettura, la congiunzione tra i vivi e i defunti, la "compresenza" di cui parla il filosofo Aldo Capitini, uno dei massimi teorici e studiosi della nonviolenza. Film di donne, dove l’uomo è figura marginale. «In Messico - dice Maria Novaro - ci sono più capi-famiglia femmine che maschi. Tante donne sono rimaste solo perché i loro uomini sono emigrati». Ma film anche sulle grandi questioni della vita e della morte: Lala si ammala di alzheimer, e si fa promettere dalla figlia che quando sarà il momento le praticherà l’eutanasia; e come Million Bollar baby di Clint Eastwood, o Mare dentro di Alejandro Amenàbar, è in definitiva un film d’amore. Quello che Novaro ci dice è che la morte è inevitabile, è inutile che si finga che così non sia; e che a volte, come nel caso dell’alzheimer non c’è possibilità di scelta.
A Città del Messico chi vuole può sottoscrivere un documento, "volontà anticipata" si chiama, dove si può scrivere come si vuole morire. Novaro, che rispetta tutte le scelte, in questo film ci dice che adempiere alla volontà anticipata di una persona è un atto di rispetto e di amore; e che a nessun essere umano si possa proibire di porre fine alla propria vita con dignità. Ancora: richiamandosi e rifacendosi alle tradizioni e al "sapere" antico popolare, Novaro ci dice che ognuno di noi fa parte di un tutto. Quelle piante, quelle erbe, quella "buenas hierbas", appartengono a una cultura secolare che attraverso quegli infusi allontanava angosce e paure, e rinvigoriva il cuore. Ora, buona visione, se potete. Rivederli al cinema non se ne parla; trovarli su cassetta non è facile, che siano trasmessi in Tv, un sogno. Resta qualche festival, anche di nicchia, ci vorrebbe un assessore alla cultura determinato e intelligente. Ne conoscete?
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