
«Liberi di morire». Sottotitolo: una fine dignitosa nel Paese dei diritti negati. Carlo Trailo, l'autore, ha 72 anni. La stessa età che aveva il fratello Michele quando, nel 2004, si uccise gettandosi dal quarta piano della sua casa a Roma. Un dramma che ha segnato Carlo, capo ufficio stampa ai tempi della Prima Repubblica poi al vertice delle relazioni esterne della Rai (è stato lui a coniare lo slogan «Rai, di tutto, di più»), e lo ha trasformato in un garbato contestatore. Sempre in giacca e cravatta, sempre con i modi misurati, ma in prima linea anche nei digiuni-protesta a favore dell'eutanasia, nella battaglia per una legge sul testamento biologico da Paese laico e patria del diritto. Tutto è scritto nel libro edito da Rubbettino, con prefazione di Emma Bonino. Carlo, alla morte di Michele (convinto assertore dell'eutanasia), ha lasciato ogni altra attività per dedicarsi a un solo obiettivo, sintetizzabile in quel titolo: «Liberi di morire». Liberi di scegliere come terminare in modo dignitoso la parentesi vita. Un grido più che un titolo. Lo stesso che lanciò Michele prima di suicidarsi. Lo stesso che ogni anno lanciano altri mille malati terminali italiani.
«Michele aveva affrontato due durissimi cicli di chemioterapia che, dapprima, sembravano aver funzionato sulla leucemia diagnosticata nel luglio 2003 - ricorda il fratello -. Dopo pochi mesi, invece, il suo male era tornato più violento di prima. Sentenza: poche settimane di vita. Michele ci ha allora chiesto di trovare un medico che lo aiutasse a morire con dignità, e lo avevamo trovato, ma non abbiamo fatto in tempo a dirglielo. La sera stessa del suo ritorno a casa dall'ospedale ebbe per la prima volta un episodio di incontinenza. La sua badante lo spogliò, lo lavò, lo mise a letto con un pannolone. Michele era un uomo elegante, riservato, pudico. La mattina dopo, all'alba, ha aperto la porta finestra del terrazzo e si è gettato».
Ancora oggi Carlo si commuove, trasmettendo insieme tutta la sofferenza del fratello e la frustrazione di non aver fatto in tempo a esaudire quell'ultimo desiderio di Michele: una «dolce morte». Un'indagine di qualche anno fa ha messo in luce che oltre il 60% dei medici italiani, almeno una volta nella professione, ha esaudito quell'ultimo desiderio di un paziente. Agendo nell'ipocrisia. Basta non farlo sapere. Lo stesso sarebbe accaduto a Beppino Englaro quando avviò la lunga battaglia legale con le autorità politiche per porre fine alla lunga «agonia» vegetativa del povero corpo in coma che un tempo era la sua luminosa figlia Eluana. «La vicenda di mio fratello Michele - dice Carlo ha sconvolto la mia vita. Così ho deciso di fare ciò che Michele avrebbe voluto: rendere pubblico il suo gesto di disperazione e di protesta e cercare di aprire un dibattito, come quello che il presidente Napolitano auspicò nel dicembre 2006 rispondendo a una lettera di Pier giorgio Welby».
Ma che fine ha fatto la legge sulle volontà di fine vita? Così urgente durante la vicenda Englaro, così «insabbiata» oggi. «Per fortuna, perché così com'è. incostituzionale e inumana, innescherebbe subito la raccolta di firme per un referendum abrogativo», chiosa Carlo. Socialista, nato a Milano, ha lavorato al fianco di Enrico Manca e di Gianni De Michelis. E figlio di Ettore Troilo, comandante partigiano e prefetto della Liberazione di Milano. Una città massacrata dai bombardamenti, da ricostruire. Ma che non aveva perso la sua dignità. La stessa che non voleva perdere Michele. Ed ecco che Carlo, oltre la storia del fratello, è riuscito a scrivere un'«agenda laica dei diritti negati», presentata a Milano, nello storico Circolo De Amicis. Omaggio dovuto: «In questa città mio padre è stato prefetto della Liberazione nel dopoguerra. In questa città io mi sono formato alle idee del socialismo riformista, tenute vive dal De Amicis. In questa città c'è oggi un sindaco che da sempre si batte per i diritti civili». Vero. Si deve proprio al Giuliano Pisapia uno dei primi, e migliori, disegni di legge sull'eutanasia.
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