
10/01/11
L'Unità
Mentre arriva un nuovo no della Consulta alle nozze gay, si registra un passo in avanti per le associazioni presso il tribunale di Palermo che ha ammesso la costituzione di parte civile di Arcigay in un processo per diffamazione.
In merito a un ricorso di una coppia gay presentato a Ferrara, la Corte Costituzionale con ordinanza del 4 gennaio ha ribadito che «la diversità di sesso è elemento essenziale nel nostro ordinamento per poter qualificare l’istituto del matrimonio». La Consulta sottolinea che le norme del codice civile che impediscono a due persone dello stesso sesso di sposarsi non sono illegittime, ritenendo inutile sollevare le questioni di illegittimità con riferimento agli articoli 3 e 29 della Costituzione. La battaglia sembra spostarsi in Parlamento, afferma Aurelio Mancuso, presidente di Equality Italia.
Ma davvero la via giudiziaria sembra sbarrata?
Lo chiediamo all’avvocato Maria Chiara Di Gangi, esperta in diritto comparato, e componente eletta dell’assemblea regionale del partito democratico siciliano. «La via, al momento, è a senso unico. Però proprio un organo giudiziario, il Tribunale di Ferrara, ha intravisto un doppio senso di circolazione, poiché interrogando la Consulta - ha dubitato sulla legittimità costituzionale di alcuni articoli del codice civile, che ostacolano il matrimonio omosessuale» replica. «La Corte Costituzionale, tuttavia, richiama la mancanza di un intervento legislativo in materia e correla il matrimonio esclusivamente ad una coppia eterosessuale. Se però un coniuge si accinge a cambiare genere, con la piena condivisione dell’altro coniuge, senza immaginare una separazione, il dettato legislativo non esclude l’esistenza di un matrimonio omosessuale. La via così diventa vita, ma in provetta».
Se la battaglia deve essere condotta a Montecitorio, tra le forze politiche, sinistra compresa, quale cultura dei diritti andrebbe promossa?
«La cultura della cittadinanza. La nostra bella Costituzione prevede che il popolo possa esercitare direttamente l’iniziativa legislativa proponendo al parlamento, a mezzo di almeno cinquantamila elettori, un progetto di legge redatto per articoli. Si potrebbe pensare di parlare di famiglie, al plurale, che vivono in natura e che meritano un riconoscimento. La paralisi di tutte le forze politiche potrebbe essere scossa da un’iniziativa popolare di tal fatta, trasversale, di massa e non settaria. La voce di tutti e non di alcuni perché credo fermamente che non esistano i diritti degli omosessuali o dei transessuali. Occorre parlare semplicemente dei diritti umani, che, accompagnati ai doveri, rendono cittadini».
Intanto a Palermo, il diritto al proprio orientamento sessuale, qualunque esso sia, segna un punto nelle aule di giustizia. Insultare un omosessuale significa ledere un’intera associazione. Succede di rado?
«Appellare un omosessuale frocio, o con altri graffianti epiteti, può apparire per molte persone una bischerata: in verità chi proferisce queste ingiurie afferma l’inferiorità sociale altrui, traccia delle gerarchie afferma l’avvocato Marco Carnabuci -. Accanto a simili episodi, accade anche che in Sicilia un giudice riconosca un’associazione quale parte offesa in un processo penale al fianco della persona direttamente ingiuriata: ciò avviene perché lo scherno con un connotato intrinsecamente discriminatorio lede l’esplicazione della personalità di tutti, non solo della vittima del reato. Credo sia la prima volta che un’associazione intervenga come parte lesa in questo tipo di processi».
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