
Ben gradito all’accusa - cioè al pm Antonio Ingroia, uno che va a botta sicura - ieri l’ex guardasigilli Claudio Martelli ha deposto al processo a carico del generale Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu con ciò contribuendo a raccontare e rafforzare una sola storia politica e giudiziaria: la sua.
Martelli ha solo ripetuto quello che aveva già detto nell’ottobre scorso ad Annozero e poi agli stessi pm: il magistrato Paolo Borsellino a suo dire sarebbe stato informato da Liliana Ferrara - collaboratrice di Martelli al ministero della Giustizia - dei colloqui tra i carabinieri del Ros e l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino: «Avemmo la sensazione che tra i Ros e Ciancimino ci fossero rapporti stretti». E Martelli ovviamente li disapprovava, questi rapporti di cui aveva «sensazione»: perché riteneva Ciancimino «una delle menti più raffinate di Cosa nostra» e perché pensava che «dare credibilità a Ciancimino per cercare di catturare latitanti era (fosse, ndr) un delirio». Infine si lamentò col ministro dell’Interno Nicola Mancino, ha detto, circa questi contatti tra i Ras e Ciancimino: contatti che a suo dire furono stretti senza informare l’autorità giudiziaria e la Dia.
Le date
Ora: le cose che non contano sono parecchie. Le date, soprattutto. Basti dire - lo ha già detto Mancino anche ieri - che il ministro dell’Interno divenne tale il 1° luglio 1992, quindi successivamente ai presunti colloqui citati. Martelli riferisce che si adirò perché recepiva una sorta di volontà di insubordinazione della condotta dei carabinieri, perché «avevamo appena creato la Dia, che doveva coordinare il lavoro di tutte le forze di polizia e quindi non capivo perché il Ros agisse per conto proprio». A dire il vero anche la Dia fu attuata successivamente: precisamente nel dicembre 1992, quando fu inserita nel decreto-legge su proposta ancora di Mancino. Senza contare un dettaglio: contrariamente a quanto ha lasciato intendere Martelli, non è che l’istituzione del dipartimento antimafia (Dia) eliminasse essenza e indagini di tutti gli altri corpi di polizia, Carabinieri dei Ros compresi. A ogni modo «nessuno mi parlò mai di possibili trattative con la mafia», ha detto Mancino, attuale vicepresidente del Csm.
Le versioni edificanti di Martelli non stupiscono se non nella facoltà dei giudici di non sottoporlo perlomeno a qualche minima contestazione. Ma parliamo dello stesso collegio che non ha ancora eccepito, sinora, a, proposito di ciò che nel 1997 testimoniò lo stesso Antonio Ingroia a Caltanissetta: cioè che il 15 luglio 1994, quattro giorni prima della strage che uccise Borsellino, lui incontrò quest’ultimo che però non gli disse niente (di niente) a proposito di trattative, Ros o altre confidenze. Non una parola a, lui, Ingroia, sedicente allievo prediletto.
Senza risposta
Ben altro, poi, si poteva chiedere a Martelli. Durante il "I grado" del processo per la morte di Borsellino, il 17 ottobre 1997, il pentito Tullio Cannella disse che dopo le stragi del 1993 «scaturisce chiaramente la volontà di Cosa Nostra di lavorare per la ricerca di nuove alleanze politiche... difatti è in questo periodo che Bagarella mi parla ad esempio di Martelli, del patto che si era instaurato col partito Socialista... Martelli in un qualche modo fu quasi scoperto, di questo doppio gioco che aveva fatto, dal Giovanni Falcone, per cui Martelli si schierò a favore di Falcone e tradì l’impegno preso con Cosa Nostra». Il pentito dell’impegno di dirottare voti siciliani ai socialisti: e non si sa se ciò esattamente accadde, ma sicuramente i voti al Psi vi furono tutti.
I verbali
Il problema è che durante certi processi di mafia è stata detta ogni cosa. Durante l’udienza del Borsellino bis, il 14 marzo 2001, si riparlò per esempio del pentito Paolo Giacobazzi secondo il quale i mandanti delle stragi del 1992 «erano stati Martelli e Scotti... il dottor Borsellino era stato ucciso per la sua ingenuità consistita nell’avere rappresentato proprio a Scotti e a Martelli la sua determinazione a proseguire nella investigazione avviata da Falcone». Follia. Sta di fatto che lo scambio di voti tra mafia e Psi, il 13 giugno 2001, furono oggetto di una dettagliata deposizione anche di Giovanni Brusca. Si legge a pagina 28 del verbale di udienza: «PRESIDENTE: - Quindi, mi pare di capire, lei voleva uccidere Martelli perchè Martelli non aveva rispettato qualcosa? O perché Martelli era nemico della mafia? BRUSCA: - No, nell’interesse di "Cosa Nostra", perché l’onorevole Martelli aveva tradito "Cosa Nostra" e quindi le nostre aspettative».
Brusca poi spiega il ruolo di Salvatore Riina in tutto l’affare. Presunte «conferme» sono riscontrabili nella deposizione dei mafiosi Angelo Siino (udienza del 20 giugno, pag. 49) e Vincenzo Sinacori (udienza dell’ 11 luglio 2007, pag. 13) e Salvatore Profeta (21 giugno 1995, Pag. 156, processo Borsellino I grado).
Questi e altri verbali sono peraltro reperibili su blog «censurati.it». E va da sè che noi non riteniamo attendibili questi mafiosi. Per niente. Ma non è una buona ragione per prendere la deposizione di Martelli per oro colato. E non credere, viceversa, alla smentita del vicepresidente del Csm Nicola Mancino. Ma a Palermo, questa l’impressione, stanno scrivendo la sceneggiatura dell’unico film che vogliono farci vedere.
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