
18/10/10
Corriere della Sera – ed. Roma
Andare via, tornare a casa, lontano da Roma, dalla stazione Anagnina, da ciò che ormai quel luogo rappresenta per lui: Adrian, com'è comprensibile, è «molto confuso, non so niente, neanche se continuerò a vivere qui, nella Capitale, o se tornerò a casa mia, in Romania, da mio figlio Alessio». Sabato sera, una pizzeria: in un tavolo in fondo alla sala c'è la famiglia di Maricica Hahaianu.
La fine terribile dell'infermiera morta venerdì dopo una settimana di coma per il pugno ricevuto da Alessio Burtone, ventenne romano di Don Bosco che, su Facebook, aveva questo soprannome, «Alessio il pugile», almeno prima che la sua pagina fosse oscurata, ecco questa storia drammatica sta segnando la città tutta, l'idea stessa di sicurezza percepita dai cittadini. Ma l'unico dolore che conti, oggi, è quello di queste brave persone, che mai hanno mostrato sete di vendetta, rabbia generalizzata. E di più: mai hanno concesso parole ai talk show o alle tv, loro. Per il dolore, certo. Ma anche per una riservatezza, una compostezza nella sofferenza, un pudore che rende loro difficile anche accettare l'invito dell'avvocato Alessandro Di Giovanni ad andare in pizzeria. Lì, però, sia pure con molti momenti drammatici, Adrian e i suoi cari un poco si raccontano.
Lui, ad esempio: «Io sono stato militare in Afghanistan ma solo adesso, a Roma, ho capito cos'è l'inferno...». Fuma in continuazione, una sigaretta dopo l'altra. Oggi si svolgerà l'autopsia, domani o mercoledì ci sarà la camera ardente. «Poi, giovedì dice Adrian - riporteremo la salma in Romania. Io rimarrò qualche giorno, poi tornerò perché voglio seguire la vicende processuali. Continuo a non capire perché l'aggressore sia ancora in casa propria..».
La famiglia di Maricica ha sperato per giorni in «un miracolo» e adesso, come spiega l'avvocato, «non ha certo sporto denuncia verso l'ospedale, ma c'è stato un miglioramento e una ricaduta e i familiari vogliono sapere tutto». E invece i dirigenti del Policlinico Casilino stanno valutando se accusare di diffamazione chi, per difendere Burtone, sta cercando di alimentare dubbi sulla correttezza dell'operato dei medici.
Sull'opportunità del carcere per Burtone, si scatena la polemica politica all'interno del Pdl. Il sottosegretario ai Beni culturali Francesco Giro: «Non deve andare in carcere. Non c'è pericolo di fuga né di inquinamento delle prove. Il ragazzo dovrà pagare. Ma il carcere non mi sembra la soluzione migliore». Subito dopo, la replica del sindaco Gianni Alemanno: «Burtone con il gravissimo gesto che ha commesso si è dimostrato un soggetto socialmente pericoloso e non merita di rimanere ai domiciliari. Sarebbe visto da tutta la città come una pericolosa indulgenza».
Ribatte Giro: «Non credo che sia la soluzione migliore gettare in galera un giovane di 20 anni, gli elementi di preterintenzionalità sono evidenti». E ancora Alemanno: «In futuro Burtone si potrà riabilitare. Ma questa ondata domenicale di garantismo mi lascia perplesso». I Radicali: «La custodia ai domiciliari tiene il soggetto lontano dal prossimo».
Oggi potrebbe essere la giornata decisiva per capire il destino di Burtone: il Gip, infatti, potrebbe firmare l'arresto. All'Anagnina, intanto, preghiere intorno all'altarino di biglietti e lumini. E il disappunto della comunità romena: Giancarlo Germani, presidente del partito «Identità romena», mostra la foto, pubblicata dai giornali, degli striscioni che chiedono la libertà per Alessio Burtone. E domanda: «Se l'aggressore fosse stato romeno, chi avrebbe potuto chiederne la liberazione?».
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