
La missione «Mare nostrum» dovrà arrangiarsi con i fondi attuali del bilancio della Difesa. Eppure il dispositivo annunciato il 14 ottobre dal vicepremier Angelino Alfano e il ministro della Difesa, Mario Mauro, dopo una riunione a palazzo Chigi con il presidente del Consiglio, Enrico Letta, è imponente: una nave anfibia tipo San Marco, due fregate classe Maestrale e due pattugliatori, elicotteri della Marina e due velivoli dell’Aeronautica di cui un drone. Nonostante tutto questo assetto al momento non è previsto un euro in più. Eppure si tratta di un’operazione straordinaria e non programmata, realtà varata dopo l’onda emotiva della tragedia del 3 ottobre a Lampedusa benché l’impennata degli sbarchi fosse cominciata già a giugno. Nei fatti «Mare nostrum» ha un onere complessivo che sfiora i 14 milioni al mese. Stante la posizione assunta finora dal governo sulla sua finanziabilità gli oneri vanno reperiti nel bilancio, quello della Difesa, già colpito dai «tagli lineari» stabiliti quando il ministro dell’Economia era Giulio Tremonti; ridotto dalla spending review; limato dalla «revisione dello strumento militare» decisa dal governo Monti che ridimensiona il totale dei militari delle tre forze armate da 190mila a 150mila.
Ora, le navi per il pattugliamento intensivo sono già in mare e nell’immediato problemi non ce ne dovrebbero essere. Ma quei 14 milioni non sono campati per aria: riguardano tra l’altro la Cfi, compenso forfetario di impiego, l’indennità per il personale impiegato in una missione del genere; il costo del carburante (non era previsto che sarebbe stato consumato tutto quello che ora sarà necessario); la manutenzione dei mezzi navali e non solo, anticipata da questo uso straordinario. Tutto potrebbe risolversi, in realtà, con un evento banale e scontato: l’arrivo del maltempo, che ridurrà in modo drastico gli sbarchi e consentirà anche di ridimensionare l’impegno annunciato.
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