
Quando Gianni Letta e Franco Frattini, alle 5 del pomeriggio, aprono Palazzo Chigi per presentarsi in conferenza stampa, il caso Emergency ha molti misteri in meno, ma soprattutto una nuova verità. E’ stato soprattutto il lavoro politico del sottosegretario alla Presidenza (con la delega ai Servizi) e del ministro degli Esteri a raddrizzare rapidamente e portare a successo in sette giorni il lavoro di un governo
che - per bocca di altri ministri - aveva creduto che i medici di Emergency potessero davvero aver complottato assieme a terroristi o stragisti vari afgani. Ad esempio è stato Letta ad accogliere il suggerimento di Frattini, all’inizio della scorsa settimana, perché fosse il presidente del Consiglio Berlusconi e non il ministro degli Esteri a scrivere al presidente Karzai per far liberare tre umanitari italiani. Una svolta, dopo l’esitazione dei primi giorni. «Non guardiamo al colore o alle idee di chi ha bisogno di aiuto, di protezione, di garanzia dei diritti», dice Letta, quasi a mettere il sigillo della sua scelta politica sotto la tabella di marcia stilata dal Frattini. Il ministro degli Esteri, mentre ancora l’inchiesta dei servizi segreti afgani era avvolta dalle nebbie più pericolose, aveva fissato una tabella di marcia: primo, trasferire al più presto i tre italiani da Lashkar Gah a Kabul.
Ovvero sottrarre i tre al controllo dei servizi afgani operativi nella provincia dell’Helmand per passarlo direttamente a quello dei capi centrali dell’Nsd, il "National security directorate". Un passo suggerito a Gianni Letta anche dai responsabili dell’Aise in Afghanistan, che sorpresi dall’azione di sabato scorso contro Emergency, avevano immediatamente iniziato a tempestare i loro colleghi afgani di richieste di chiarimento.
La seconda richiesta di Frattini agli afgani era quella di garantire ai tre un "trattamento decoroso", e questo imponeva che gli italiani venissero tenuti lontano dal possibile pozzo nero dei servizi afgani in cui potevano essere lasciati scomparire per giorni e giorni. Gli incontri dell’ambasciatore Glaentzer e dell’inviato da Roma, l’ambasciatore Massimo lannucci, servivano proprio a questo, ad evitare i tre italiani venissero sballottati da questa o quella struttura giudiziaria o di sicurezza, tutte impegnate con il potere politico afgano in una paurosa lotta di potere intestina in cui tutti sono contro tutti.
«L’ultimo ostacolo», dice una fonte della Farnesina, «era quello di rispettare formalmente le competenze giudiziarie afgane, ma di accelerare il loro rilascio». Per questo Frattini aveva studiato la possibilità di proporre agli afgani di «affidare ai giudici italiani eventuali nuove prove dovessero emergere dalla vostra inchiesta». Gli afgani hanno avuto salva la faccia, e a quel punto come per miracolo tutte le accuse contro i tre di Emergency sono cadute.
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