
E se martedi prossimo l’India rinunciasse davvero alla legge antiterrorismo per processare i due marò? Se evitasse di applicare il SUA Act e ricorresse al normale codice penale indiano? Sembrerebbe un successo italiano, e invece paradossalmente potrebbe diventare un ostacolo tattico per la difesa dei due fucilieri di Marina. Niente legge anti-terrorismo niente "internazionalizzazione", e quindi minore sostegno dell’Onu, della Ue, della Nato: questo il pericolo. Per il momento però la comprensione internazionale cresce: ieri il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha rivelato una importante evoluzione nella sua posizione, dicendo di essere «preoccupato per una vicenda da tempo irrisolta che vede coinvolti due importanti Paesi, che potrebbe avere delle ripercussioni sulle operazioni di sicurezza anti-pirateria e sullo Stato di diritto». Poi ha fatto aggiungere un paragrafo che, come tutte le dichiarazioni diplomatiche di quel livello, va letto con attenzione: «E’ importante che le due parti siedano ad un tavolo per trovare una soluzione concorde e ragionevole», il che non significa «è una questione bilaterale», ma vuol dire invitare le parti a non pensare solo ai tribunali indiani, ma anche ad aprire un tavolo di negoziato politico che l’Onu potrebbe favorire.
«Il grande salto nella mobilitazione internazionale è stato fatto con quei due "errori" dell’India», dice una fonte di Palazzo Chigi che segue ogni passo del negoziato: «Grazie alla pena di morte e soprattutto grazie alla minaccia del Sua Act la Ue, la Nato e adesso anche l’Onu poco alla volta hanno trovato la forza di chiedere all’India spiegazioni». E anche se l’India rinunciasse al Sua Act l’Italia non rinuncerà all’internazionalizzazione: «Questo processo ormai è irreversibile, il sistema indiano è troppo lento e caotico per poter garantire un processo veloce e giusto come ci avevano promesso, e noi da soli non riusciamo a farglielo capire», dicono alla Farnesina e a Palazzo Chigi.Ecco perché il ministro degli Esteri Emma Bonino ha chiesto per esempio al ministro degli Esteri europeo Catherine Ashton di insistere oggi a New York nell’incontro che era previsto da tempo col segretario Ban Ki Moon. In mattinata al Senato il ministro degli Esteri italiano aveva ha detto di avere «grande rammarico e forti perplessità» per la posizione iniziale di Ban Ki-moon («è una questione bilaterale», appunto). Ha trascurato di spiegare perché nessuno dall’Italia avesse avvertito nei dettagli il segretario generale dell’Onu della novità "politica" nel processo ai due marò, ovvero che il procuratore indiano avesse chiesto ufficialmente l’applicazione del SuaAct.
Il ministro in Senato ha affrontato una seconda giornata di assalti politici all’Onu, anche abbastanza caotici, dai toni iper-nazionalisti. Pierferdinando Casini ha detto semplicemente che «Ban Ki-moon ha preso in giro l’Italia», dopo aver rischiato l’incidente diplomatico con l’India sostenendo che «quello è un paese incivile». Sul tema della partecipazione alle missioni anti-pirateria dopo l’ondata del "tutti a casa", iniziano a circolare idee più realistiche, anche perché all’India che l’Italia partecipi o meno alle missioni and-pirateria non interessa molto. Nicola Latorre, presidente Pd della Commissione difesa del Senato, dice che «se non sarà risolto il problema dei nostri fucilieri, nel prossimo decreto-missioni chiederemo un drastico taglio delle missioni antipirateria». Per cui per il momento il decreto sulle missioni militari in esame dovrebbe essere approvato senza modifiche. Un’idea per superare l’ostilità alle missioni internazionali della destra populista del parlamento italiano la propone Giuseppe Scanu, capogruppo Pd in Commissione Difesa alla Camera: «L’Italia chieda che l’Onu metta la propria bandiera sulle missioni anti-pirateria, che fino ad oggi sono solo autorizzate dalle Nazioni Unite, ma sono realizzate autonomamente da Ue e Nato».
© 2014 La Repubblica. Tutti i diritti riservati