
Monti si sta divertendo a rovesciare il paradigma politico degli ultimi vent’anni costruendo prima un’agenda, poi una lista («Con Monti per l’Italia») e infine una coalizione. Ha posato le rotaie quando era al governo, poi s’è procurato il carbone e ha costruito una locomotiva a cui ha agganciato dei vagoni di varia classe. Deraglierà? Arriverà in orario? Dipende anche da chi farà salire in carrozza. Il macchinista va bene, ma in viaggio, servirà anche il controllore.
Una vecchia regola del giornalismo dice che «l’ultima notizia scaccia quella vecchia», cioè che l’ultimo fatto, quando è tale e degno di esser pubblicato, si impone su tutti gli altri. In questo l’impegno politico di Mario Monti è efficace. Tutto il resto che c’è in campo ha per forza l’aspetto di dejà vu. Dal punto di vista della comunicazione, quello che è stato per molti anni «l’effetto Berlusconi», oggi è migrato da un’altra parte. Non è sufficiente per vincere e convincere, ma in politica è un vantaggio. Per questo Berlusconi continua a dire che le sue liste presenteranno molti «giovani» e per lo stesso motivo Pier Luigi Bersani ha cercato la collaborazione di Matteo Renzi. Hanno entrambi bisogno di rinnovarsi, perché una patina di polvere in loro c’è e resta. Pdl e Pd hanno un problema speculare: sono i due poli che hanno cogovernato l’Italia negli ultimi vent’anni e questo dato non sfugge agli elettori. Il «nuovismo» però diventa «continuismo» se non viene riempito di contenuti, idee, programmi. È una regola della politica che in questi anni è stata interpretata in vario modo: Berlusconi firmò un «contratto con gli italiani», l’Unione di Prodi arrivò a compilare un dettagliato programma di centinaia di pagine. E Monti? Ha presentato un’Agenda. Funzionerà? Durante la campagna elettorale si lavora sul marketing, sul mezzo e il messaggio. In questa fase Berlusconi è sempre stato abile. Oggi molto meno di ieri, perché gli anni passano e soprattutto perché il Paese è cambiato. Ma chi sottovaluta la sua forza sbaglia. Il Cav resta un maestro del «tre per due», dello slogan improvvisato, dell’offerta promozionale ed emozionale. Bersani questo l’ha capito e, con un registro diverso, usa le stesse armi. Si fa fotografare alla pompa di benzina del padre e al tavolo dell’osteria con una birra in mano, parla della «ditta» e tampona l’inquietudine con un granitico «ora tocca a noi». Bersani fa il «Normal», come è stato definito il presidente socialista Hollande in Francia. E Monti? Non è «Normal» e non fa niente per apparire tale. Ieri sera a Otto e Mezzo ha detto a Lilli Gruber: «Non sorrido». Ma dalle labbra gli affiorava il sorriso di uno che salta sul ring con la tazza di tè in mano. Monti sa di essere un candidato a Palazzo Chigi figlio dello «stato d’eccezione» in cui si è trovata (e trova ancora) l’Italia. Si sta divertendo a rovesciare il paradigma politico degli ultimi vent’anni costruendo prima un’agenda, poi una lista («Con Monti per l’Italia») e infine una coalizione. Ha posato le rotaie quando era al governo, poi s’è procurato il carbone e ha costruito una locomotiva a cui ha agganciato dei vagoni di varia classe. Deraglierà? Arriverà in orario? Dipende anche da chi farà salire in carrozza. Il macchinista va bene, ma in viaggio, servirà anche il controllore.
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