
08/10/10
L'Opinione delle Libertà
Una politica in continuo movimento Quale forza politica organizzata, oggi, può credibilmente dirsi davvero liberale e democratica? Ovviamente mi riferisco all'Italia. Non è una risposta facile, anzi. A tal proposito, è forse utile distinguere tra democrazia reale e democrazia liberale. La prima, come accadde per il socialismo reale, è la negazione stessa della democrazia. La democrazia reale, infatti, è anti-democratica, addirittura non-democratica ed è, di gran lunga, il sistema politico che domina nel Palazzo e nel Potere; la seconda, cioè la democrazia liberale, è divenuta ormai un obiettivo da raggiungere, un'aspirazione, un sistema da conquistare.
Ma non affibbierei tutta la colpa alla destra come non addosserei la responsabilità soltanto alla sinistra e non demonizzerei il centro. Diciamo che c'è stato un concorso di colpa. Insomma, mi sono stancato di sentir parlare ancora di destra o sinistra o centro. Ognuno rivendicando con orgoglio una collocazione geografica o una posizione. La politica è movimento.
Il pensiero liberale è sempre in divenire e non ha posizioni, ma vive di cambiamenti, di ricerca continua, di aggiustamenti, di errori e correzioni. In altre parole, la maggioranza della nostra classe dirigente nazionale è espressione della democrazia reale e, quindi, non è liberale. Anzi, è illiberale, anti-liberale, contro lo Stato di diritto. Sono democratici Pierluigi Bersani, Dario Franceschini, Piero Fassino, Valter Veltroni, Massimo D'Alema, ma non sono liberali e non hanno una storia liberale nel loro bagaglio formativo e culturale. E' democratico Francesco Storace, ma non possiamo certo dire che sia liberale. Come pure non è liberale Nichì Vendola, anche se è un esponente della Sinistra democratica. E potrei andare avanti così di questo passo. Oggi, in Italia, sono liberali i singoli, alcune personalità, gli individui, non più i gruppi organizzati. Il vocabolo liberale è riferito a chi riesce o è riuscito a mantenere i caratteri liberali sia in economia sia nel campo sociale, seppure ciascuno con le proprie diverse sfumature.
I Radicali di Marco Pannella e di Emma Bonino, a questo proposito, hanno una responsabilità: rispetto alla storia liberale e nei confronti degli elettori, dei cittadini, delle istituzioni. Ormai da anni, da liberale e democratico, lo vado ripetendo in ogni sede, sui quotidiani, su internet, nei convegni e nelle riunioni dei Radicali: è arrivato il momento, per i Radicali, di rilanciare con forza una impostazione liberale e democratica nel nostro Paese e di assumerla come linea politica chiara e determinata. Del resto, come soggetto politico organizzato, in Italia, i Radicali di Pannella hanno la storia liberale più duratura. Basti solo pensare che, nel 1955, al momento dell'atto di nascita, dell'allora movimento politico guidato da Mario Pannunzio, il nome completo scelto per il partito fu: "Partito Radicale dei Democratici e dei liberali". È una storia che dura da ben 55 anni! Purtroppo, però, le incrostazioni ideologiche del Novecento, malgrado il fallimento degli ideologismi, sono rimaste attaccate ,alle idee e al modo di ragionare tipico di una classe dirigente politica in gran parte divenuta inadeguata e vecchia. Si discute ancora di destra, di centro e di sinistra come se il Muro di Berlino fosse rimasto in piedi.
È come se i cinquantenni e i sessantenni di oggi, provenienti da una storia lontana mille miglia dal sentire delle nuove generazioni, cercassero di leggere e capire il presente politico attraverso. chiavi interpretative risalenti agli anni cinquanta o settanta. II tempo è passato. Anche se qualcuno vorrebbe che fosse trascorso invano. Il tempo è scaduto. Si usano schemi politici ancora legati alla vecchia partitocrazia, come se quella nuova non fosse ancor più partitocratica della precedente. Si lavora in maniera stanca e ripetitiva per costruire la "Grande Destra" o il "Grande Centro" o, peggio, il "Nuovo Ulivo", cioè si lanciano vecchi progetti che non dicono più niente, che non parlano al cuore e alla testa delle persone, che non guardano oltre il proprio naso, che hanno un aspro sapore stantio, mentre le urgenze e i problemi del Paese travalicano sia la destra che la sinistra, sia il centro che le estreme.
I cittadini vedono davanti ai loro occhi un Palazzo chiuso nelle vecchie logiche e un Potere trasversale che ha le sembianze di un blocco unico e bicefalo, di un "monopartitismo imperfetto". Già nel 1992/93, ai tempi in cui frequentavo l'università, si viveva un'atmosfera non ideologica. In Italia imperversavano gli scandali legati alle inchieste di Tangentopoli e di Mani Pulite, crollavano e si sbriciolavano i partiti storici, gli attentati a Giovanni Falcone e a Paolo Borsellino e alle loro scorte facevano tremare l'intero Paese, esplodevano minacciose le bombe collocate a San Giorgio al Velabro e alla basilica di San Giovanni a Roma, deflagrava un detonatore in via Palestro a Milano e un altro a ridosso della Galleria degli Uffizi a Firenze. Di tutto parlavamo tranne che di schemi partitocratici. Avevamo altri argomenti di discussione. I miei coetanei, come me, si sono politicamente formati con il referendum sulla legge elettorale del 18 aprile 1993. Abbiamo votato per il sistema politico dell'alternanza e chiesto di poter adottare un modello elettorale uninominale e maggioritario. Lo volevamo perché finalmente si chiudessero queste false dicotomie tra destra e sinistra o centro.
Il conflitto oggi è tra l'Ancien Régime e i liberali. Ma chi sono oggi i liberali? Potrebbe essere interessante scoprirlo. Il pensiero liberate è essenzialmente una dottrina dei limiti del potere politico. Il problema di chi debba avere questo potere nelle proprie mani è invece l'oggetto della riflessione della democrazia. La democrazia nel suo spirito originario richiede che il potere politico sia fatto derivare dal popolo e che esso lo eserciti direttamente o attraverso rappresentanti eletti, ma non si preoccupa di evitare la concentrazione del potere né di tutelare le minoranze. Allo stesso modo, nello Stato liberale dell'800 un'ampia fetta della popolazione era esclusa dal potere politico e dal diritto di eleggere i suoi rappresentanti. Con la trasformazione degli Stati liberali in Stati democratici la distinzione è andata sfumando. La democrazia che c'è da conquistare è, perciò, quella liberaldemocratica perché combina il principio della sovranità popolare con la tutela dei diritti liberali e con la divisione dei poteri prevista da Montesquieu. Nei Radicali continuerò ad avere questa linea, sempre.
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