
Il dibattito intorno all'ipotesi di un nuovo governo guidato da Mario Monti dopo le elezioni ha preso il via da pochi giorni e già sta assumendo un tono vagamente surreale. Eppure non dovrebbe essere difficile fare chiarezza su alcuni passaggi cruciali. Ad esempio, è evidente che il prossimo esecutivo dovrà essere fondato su una maggioranza politica, su di un patto scaturito dal risultato del voto.
Non avrebbe alcun senso dar vita a un'altra compagine «tecnica» dopo aver portato gli italiani alle urne. Qualcuno ritiene invece che richiamare Monti a Palazzo Chigi equivarrebbe a proseguire con i tecnici. Non è così. D'altra parte nulla esclude che Monti, peraltro già insignito della carica di senatore a vita, possa essere convocato per formare un governo politico se le circostanze parlamentari lo consiglieranno. Con quale maggioranza, si vedrà al momento: dipenderà, è ovvio, dalle forze politiche.
Secondo aspetto. Il premier si è limitato a offrire la propria disponibilità, ma ha anche precisato che se altri vorranno formare il nuovo governo politico, questo sarebbe nella logica della democrazia. C'è forse un pizzico di malizia in queste affermazioni? Magari sì. È come se Monti dicesse ai partiti: se siete in grado di mettere in piedi un governo, accomodatevi; se siete capaci di essere presi sul serio dalle cancellerie internazionali, non esitate a prendere il mio posto.
Quel che è certo, Monti non è e non vorrà essere nei prossimi mesi un uomo «di parte». Non lo vedremo alla testa di uno schieramento. Il che non significa che il premier non faccia politica attraverso gli atti e le parole: ad esempio con la simpatia ostentata verso il Partito popolare europeo o con le iniziative volte a contrastare il «populismo» nelle sue varie forme.
Terzo. Se Monti resta in disparte rispetto alla competizione elettorale, è evidente che egli non può essere il candidato di Casini e Fini. Tuttavia si possono biasimare questi due politici di lungo corso per aver annunciato il loro appoggio al Monti-bis? Anche questo è un controsenso. Esiste una larga fetta di opinione pubblica che giudica in modo positivo l'operato del presidente del Consiglio ed è comprensibile che un partito, o anche un movimento come quello di Montezemolo, voglia interpretare questo sentimento. Obiezione: lo fanno per guadagnare voti, strumentalizzando il premier. Ma in politica questo è del tutto normale, tanto più che i centristi hanno fin qui sostenuto Monti con lealtà.
Quarto punto. C'è un'altra obiezione più seria: il Monti-bis difficilmente prenderà forma se il gioco politico resta ingessato come è oggi. «Berlusconi, Casini e Bersani sono tutti e tre parte del sistema» scriveva ieri su queste colonne Luigi Zingales con estremo scetticismo. Ed è vero: se il sistema politico non cambia, avrebbe poco senso parlare di un nuovo esecutivo affidato al premier che sa interloquire con l'Europa. In altri termini, Monti non può essere altro che «super partes» rispetto ad aggregati politici che non riescono a cambiare passo e per i quali è quasi impossibile rivolgersi al paese in uno spirito di unità nazionale.
In definitiva servirebbe un'autentica novità in grado di scuotere l'albero della politica. Il Monti-bis non può nascere da un'operazione di palazzo o da una pur legittima manovra elettorale. I maggiori partiti, dal Pd al Pdl (se non si disgrega), avrebbero facile gioco a mettersi di traverso. Forse occorre creare quello che i francesi chiamano un «rassemblement pour la République», qualcosa che prende forma fuori dei partiti e li obbliga a rifondersi. In Francia il tentativo riuscì e nacque la Quinta Repubblica. Da noi sarebbe sufficiente restituire una speranza e una rappresentanza politica agli italiani che credono nell'Europa.
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