
Luca di Montezemolo si è dimesso da presidente della Fiat. Il nuovo presidente sarà John Elkann, trentaquattro anni. Torna un erede del fondatore, il senatore Agnelli, alla testa della società torinese, e tocca al nipote di Gianni Agnelli, così come il nonno aveva voluto. Questo avvicendamento insieme alle notizie che arriveranno oggi - qualcuno dà per certo l’annuncio dello spin-off, festeggiato dalla Borsa con un +9,3 per cento per Fiat e +7,1 per Exor, e comunque sarà illustrata di sicuro una road-map dell’integrazione Fiat-Chrysler - segnano un cambiamento radicale e profondo nella vicenda Fiat. Siamo innanzitutto di fronte a un cambio generazionale. Elkann è un presidente giovane, il più giovane di una grande quotata. Il suo ingresso diventa più significativo e simbolico, perchè nel giro di pochi giorni prende il posto di suo nonno alla presidenza della Fiat e di Gianluigi Gabetti alla presidenza dell’accomandita famigliare, la società che sta in cima alla catena di comando della Fiat.
A questo cambio generazionale corrisponde anche una radicale trasformazione del sistema Fiat. Il primo cambiamento è determinato dalla vicenda Chrysler. La Fiat conserverà la sua testa italiana, cercherà di salvaguardare l’occupazione italiana, ma diventerà anche inevitabilmente un po’ più internazionale. Per quanto riguarda l’Auto, le indiscrezioni parlano di un piano da 5,6 milioni di veicoli, la metà con il marchio Chrysler e di una organizzazione della produzione tarata sui mercati in cui il nuovo gruppo sarà più forte. Ma queste cose le vedremo stamane nel corso della presentazione del piano quinquennale.
La sempre maggiore internazionalizzazione del sistema Fiat riguarda anche la caratteristica dell’azionista di riferimento che ha scelto un modello di gestione di un portafogli di investimenti diversificato, ma in cui si punta in primo luogo a preservare la stabilità di Fiat.
Ieri un articolo comparso su un blog del Wall StreetJournal cercava di spiegare perché - dopo tutto - l’arrivo del nipote di Gianni Agnelli, non è un ritorno al futuro, e che Elkann «ha una visione molto molto diversa dell’industria globale dell’auto rispetto a quella di Gianni Agnelli, poco sentimentale». Il che è vero, ma l’aspetto interessante dell’azionista di Fiat è che nonostante il cambiamento di prospettiva, meno sentimentale, proprio nella fase più difficile tra il 2003 e il 2004 partecipò a un aumento di capitale a cascata per non perdere il controllo dell’azienda. Oggi di quel periodo hanno parlato sia Luca di Montezemolo sia Gianluigi Gabetti, il quale in una nota ha commentato poi il congedo di Montezemolo, riconoscendo al presidente uscente lo stile dell’addio. Lo stesso Gabetti si accinge a lasciare la guida dell’accomandita a Elkann. E questo doppia successione è un altro aspetto interessante dei cambiamenti di questi giorni. La conservazione di Fiat in un sistema di capitalismo famigliare fu un’operazione complessa, in cui giocò l’affiatamento tra un gruppo di persone, e soprattutto il quadrilatero Gabetti, Marchionne, Montezemolo, Elkann. Con l’uscita di Gabetti e Montezemolo, restano gli altri due.
Delle prospettive e della natura internazionale di Fiat si è detto molto negli ultimi tempi. Ma ovviamente la coppia Elkann-Marchionne sarà chiamata anche a gestire un altro aspetto della presenza di Fiat, storicamente molto delicato. Cioè il rapporto con la dimensione politica del sistema torinese. Si è visto nei mesi scorsi nello scontro con un pezzo del governo per gli incentivi alla rottamazione e nella concomitante vertenza sull’addio a Termini Imerese. La Fiat è rimasta esposta al fuoco dei suo numerosi avversari.
La natura negoziale dei rapporti di lobbyng andrà in qualche modo messa in agenda e così la ricostruzione di un legame con l’area di centrodestra, ostile alla Fiat perchè campione della grande impresa, opposta nei suoi interessi al tessuto di medie e piccole che sono la constituency profonda del centrodestra.
E lo stesso varrà per la collocazione di Fiat in quel complesso sistema di relazioni che si chiama risiko. La Fiat ne è sostanzialmente fuori, dopo la cessione di una quota di Mediobanca da parte di Marchionne. Ma resta una quota del 10 per cento del Corriere della Sera, che non ha impedito nei mesi scorsi una frizione con il giornale di via Solferino. Per pesare di più in questo sistema di relazioni, Elkann ha accettato il mese scorso di entrare nel comitato di presidenza di Confindustria. Ora sarà interessante cercare di seguire un ulteriore sviluppo della strategia torinese. E cioè, se e come l’azienda che fu la forza egemone del sistema industriale italiano e che guidò il capitalismo famigliare nello scontro con il capitalismo
di stato, cercherà di organizzare una nuova rete di alleanze.
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